Acclamato dalla critica internazionale, best seller nella classifica del new York Times e vincitore dell’Aurealis Award come miglior romanzo Young Adult 2009, Leviathan narra la storia di una prima Guerra Mondiale alternativa.

Le nazioni coinvolte nel conflitto si contrappongono non solo politicamente ma anche per via di due differenti ‘filosofie’ di vita: da un lato i Cigolanti, dall’altro i Darwinisti. I primi hanno sviluppato una sofisticata tecnologia meccanica, i secondi hanno sfruttato invece la genetica ed entrambi si avvalgono del proprio collaudato sistema per applicarlo alle proprie macchine da guerra.

Al di là degli squilli sensazionalistici, Leviathan è un romanzo senza grosse pretese e chiaramente costruito per un pubblico molto giovane, sia per la semplicità dell’intreccio, sia per il livello di caratterizzazione dei protagonisti, sia per il sapore un po’ goliardico di certe ‘trovate’.

In circa quattrocento pagine, sono pochissimi i punti cardine che permettono il progredire della storia e così si ha l’impressione che la gran parte del volume sia una sorta di riempitivo che nulla aggiunge o toglie alla vicenda narrata. Una ‘tecnica’ che, dopo le prime cento pagine, rischia di annoiare profondamente il lettore.

Due sono i personaggi principali: il principe Alexandar Ferdinand, erede al trono costretto alla fuga dopo l’assassinio dei suoi genitori, e Deryn Sharp, ragazzina che si finge maschio per poter essere arruolata nel British Air Service. Quest’ultima sembra meglio definita sin dall’inizio, mentre il ragazzo cresce lungo il corso del romanzo. Tuttavia, nessuno dei due riesce a conquistare il cuore del lettore. Alexandar mostra infatti, in più di un’occasione, una stupidità di fondo che l’inesperienza può solo in parte giustificare; la seconda sembra un soldatino telecomandato, noiosamente ossessionato dalla propria missione.

Sul versante positivo, bisogna riconoscere che gli animali geneticamente modificati presentati da Scott Westerfeld denotano una simpatica dose di fantasia e che il suo stile è quello del romanziere consumato. Un aspetto, quest’utimo, che rende formalmente scorrevole il romanzo, nonostante la sua eccessiva diluizione.

Molto curato anche il 'packaging', con carta patinata, sovracopertina con inserti argentati e illustrazioni che richiamano lo stile del Piccolo Principe.

Da tenere presente, infine, che si tratta del primo volume di una serie e che non è un libro autoconclusivo. Un aspetto da valutare per chi non ama i finali tronchi che ‘costringono’ a leggere i volumi successivi. Sempreché, ovviamente, la vicenda sia risultata sufficientemente interessante da generare tale spinta.