Pastworld è la più autentica delle città finte. Più che un parco a tema, più che realtà virtuale. In un mondo annoiato e sonnolento, nel 2048, rappresenta l'ultima, se non l'unica occasione di sentire i sapori e gli odori della vita vera.

Pastworld è la ricostruzione perfetta dalla Londra Vittoriana. O meglio alla Londra che fu è stata apposta una cupola, e l'intera città è stata riportata allo stato in cui era nel tardo '800.

Una multinazionale, la Buckland Corporation, porta frotte di turisti a visitarla. Tra questi anche il giovane Caleb, che trova quello che cerca, un antidoto alla noia. E che antidoto. Si ritroverà con il padre rapito e lui stesso coinvolto in un fatto di sangue, accusato di un delitto in una Londra nella quale è ancora in vigore la pena di morte.

La sua vicenda s'incrocerà con quella della coetanea Eve, nativa di Pastworld, per la quale scoprire che il mondo che lei conosce è l'unico mondo "reale", è un risveglio simile a quello di Truman Burbank, o al suo omologo dickiano Ragle Gumm, quando scopre che la sua realtà è la finzione di qualcun'altro.

Se avete voglia di scoprire perché la diciassettenne Eve non ha memoria dei fatti antecedenti il suo quindicesimo anno di età, e di scoprire come le vicende di Eve e Caleb s'intrecceranno con quelle del misterioso Fantom, del Sergente di polizia Catchpole, del dickensiano monello di strada Bible J e del miliardario Buckland, tra i tanti personaggi del libro, preparatavi a un percorso non privo di asperità.

Non brilla per scorrevolezza questo romanzo che ha parecchi momenti in cui la trama proprio non scorre, prigioniera dell'infodump, tanto che l'ambiente arriva a sovrastare la vicenda. Siamo in presenza di descrizioni del background degne di un dettagliata "bibbia", di un manuale che spiega i retroscena di universo narrativo.

Un universo raccontato come se il lettore ne fosse fuori. 

Ma i romanzi sono fatti anche di personaggi, e a quelli di Pastworld non si riesce ad affezionarsi. Se è vero che la letteratura di genere talvolta vive di idee più che di personaggi, è anche importante come queste vengono raccontate.  I personaggi sembrano muoversi come marionette alle quali viene assegnato un compito, senza avere altro scopo che quello di rappresentare uno stato d'animo, un carattere e uno soltanto. Nessun personaggio in realtà è autonomo in letteratura, ma segue il percorso che l'autore ha in testa ovviamente. Ma l'effetto "topo nel labirinto" è molto marcato in questo romanzo. Non si riesce nemmeno per un istante a pensare che il percorso possa essere diverso. Molte volte il lettore pur intuendo dove il romanziere voglia andare a parare, vuole sperare che non sia proprio come ha intuito, e altre volte il romanziere riesce a sorprendere il lettore, portandolo alla fine di un percorso che non era quello che sembrava all'inizio.

Non è il caso di questo romanzo, in cui anche le situazioni narrative non sono particolarmente brillanti, ma solo messe insieme con professionalità. Nessun colpo di scena è veramente tale.

Il gioco delle citazioni, che va da Charles Dickens a V for Vendetta, senza trascurare, mutatis mutandis, Philip K. Dick, è però privo di alcun divertimento. Non c'è vero rimescolamento delle carte. Dall'accostamento di diversi elementi non viene fuori qualcosa di divertente, la salsa "impazzisce" e gli ingredienti non legano.

In conclusione siamo davanti a un prodotto d'intrattenimento magari non completamente decerebrato, con un background di preparazione e mestiere alle spalle, ma non destinato a essere ricordato dopo la lettura.