Nel 1892, sposata la sua adorata Ida (da lui chiamata Aida) Peruzzi, attrice teatrale, Salgari si trasferì a Torino, e qui firmò un contratto di 4mila lire annuali con Speirani, editore per ragazzi con cui pubblicò circa 30 opere in sei anni. Nacquero nel frattempo i suoi quattro figli, i cui nomi esotici richiamavano i personaggi da lui inventati: Fatima (1892), Nadir (1894), Romero (1898) e infine Omar (1900).
Crebbe dunque la sua famiglia e così anche la mole di lavoro, non solo per cercare di sopperire alle crescenti necessità economiche, quanto per soddisfare le sempre più pretenziose richieste degli editori: mentre dal 1896 collaborava con il Novelliere Illustrato di Torino, nel 1898 firmò un contratto di lavoro col genovese Anton Donath, presso il quale conobbe il suo primo grande illustratore, Giuseppe “Pipein” Gamba, ma nel 1900 tornò a Torino e fino al 1906, anno in cui passò sotto l’editore fiorentino Bemporad, riuscì a pubblicare una trentina di romanzi, nell’ordine di anche cinque o sei opere all’anno, per un contratto annuale di 8000£.
Nonostante tutte le critiche, però, il pubblico apprezzava i romanzi di Salgari, che raggiunse le centomila copie vendute, ed ebbe un grande riscontro anche a livello internazionale, tanto che a oggi resta uno degli autori più tradotti; per di più, nel 1897, ricevette la nomina di Cavaliere della Corona dal re Umberto I.
Nel 1903 iniziò un periodo molto complicato, che culminò tragicamente col suicidio dello stesso Salgari: la moglie cominciò a manifestare problemi di squilibrio mentale, ciò comportò ingenti spese per le cure e un grande stress per lo scrittore che, già di indole sensibile e di animo fragile, oltre a soffrire di un indebolimento della vista e di continui incubi notturni e manie di persecuzione, arrivò a indebitarsi per poter pagare le cure per la moglie, che riuscì a far ricoverare in un ospedale psichiatrico solo nel 1911.
Devastato in questo senso tentò più volte di suicidarsi riuscendoci al terzo tentativo; il 25 aprile dello stesso anno infatti, sul pian di San Martino, Salgari si uccise sventrandosi e tagliandosi le vene; una morte truce e ingiusta, quanto degna del coraggio dei personaggi di cui aveva raccontato per tutta la vita.
Negli anni successivi, introno al 1915, l’editore Donath cedette la proprietà letteraria dell'opera di Salgari di sua competenza al collega milanese Vallardi, forse memore della lettera che l’autore, prima di morire, aveva scritto a tutti i suoi editori: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.»
Nonostante il tentativo della politica fascista di addurre ai mondi salgariani principi compatibili con le dottrine dell’epoca, il successo del Capitano si protrasse a lungo, alimentato fino agli anni Cinquanta dai romanzi pubblicati postumi per decisione dei figli Nadir e Omar, che grazie anche allo scrittore-discepolo di Salgari Luigi Motta ne raccolsero l’eredità: soprattutto Motta riprese molte delle trame lasciate incompiute dal Capitano e le rielaborò personalmente, per poi intraprendere la propria strada letteraria nel genere per fanciulli (Fiamme sul Bosforo, Il Cacciatore di Leoni). Dagli anni sessanta la figura di Salgari venne rivalutata anche dalla critica letteraria e molte furono le case editrici, come la Fabbri, che pubblicarono i cicli che più avevano suscitato l’entusiasmo dei lettori. Negli anni settanta fu poi la volta della trasposizione in serie televisiva: sei episodi, per la regia di Sergio Sollima, trasmessi nel 1976 dalla Rai; lo stesso Sollima realizzò, in seguito, anche un sequel e un film sul Corsaro Nero, sempre con Kabir Bedi e Carole Andrè nel cast. Da segnalare anche gli sceneggiati per la radio e il susseguirsi, dagli anni ottanta, di versioni illustrate, a fumetti e di cartoni animati, anche attraverso i personaggi più amati dai bambini, prima i paperi Disney, poi Geronimo Stilton.
Tutte le biografie critiche pubblicate fino a oggi concordano su un punto: questa produzione così commercialmente fervida gli costò molto, sia dal punto di vista fisico che morale, e non solo durante la vita. Salgari soffrì e pagò aspramente le ripercussioni della concreta ansia da prestazione a cui era sottoposto dagli editori del tempo, i quali si arricchivano sulla sua fatica, in quanto all’epoca non c’era una proporzione adeguata per i guadagni degli scrittori per i quali era praticamente impossibile beneficiare dei risultati delle vendite, non essendoci un riconoscimento dei diritti di autore.
Questa produzione quasi da fabbrica e un’evidente mancanza di editing hanno compromesso l’aspetto creativo che invece sarebbe stato ammirabile, in Salgari: oltre a essere visto con grande diffidenza dalla pedagogia per alcuni temi trattati, la critica del tempo gli imputava una scarsa accuratezza del testo scritto e uno stile frettoloso e approssimativo, avendolo già etichettato “omo senza lettere”, ossia non un vero letterato al pari dei grandi autori dell’epoca.















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