Xarshal annuì, portando il suo Re a volgersi verso il lato della stanza ancora intatto. Una vecchia stava accanto al letto di un bambino; un bel bambino vestito di lana fine ricamata d'oro. Aveva lunghi capelli scuri, che già gli toccavano le spalle sottili, e gli occhi blu, profondi come quelli del padre.

Helvdan si volse alla vecchia. — È lui il figlio del Re?

— Il suo nome è Lisander figlio di Lisbarth — rispose la donna, e non abbassò lo sguardo.

— Quanti anni ha?

— Ha compiuto due inverni. Questo che inizia è il terzo per lui — ancora la voce era aspra, senza paura, ma Helvdan la ignorò e all'improvviso sorrise chinandosi sul bambino e prendendolo tra le braccia. Il piccolo si tirò indietro all'odore straniero e al freddo della leggera corazza lucente che copriva le spalle e il petto del Re di Hasgalen. Ma Helvdan non si risentì di quel rifiuto; anzi rise, e si sentì penetrare da un gran calore, come se la vita fosse ritornata all'improvviso, per quel semplice contatto, anche nel suo corpo.

Figlio mio carissimo — mormorò tra sé, e lo alzò al cielo, come un figlio consacrato, e poi se lo strinse fra le braccia come un tesoro.

— Che cosa vuoi farne? — lo interrogò la vecchia.

— Voglio farne un Re! — esclamò Helvdan con tono allegro e solenne allo stesso tempo. Poi fece appena un cenno del capo a Xarshal, che con noncuranza tagliò la gola alla vecchia prima di seguirlo fuori dalle stanze.

— Fai buttare tutti i cadaveri dalle scogliere — ordinò Helvdan scendendo dalle terrazze verso la strada di pietra rosa.

— Ci vorrà del tempo.

— Ci vorrà del tempo anche per sistemare tutti i bambini e portare sulle navi i più grandi. Non lasceremo il porto prima di domani mattina. Voglio che non resti nessuno nella Città d'Oro.

— A quale scopo?

— Si dirà che la gente che viveva in questo luogo è sparita, per qualche magia, o perché ha raggiunto la Terra degli Immortali, di cui è evidente che erano ancora i servi…. E così tra qualche tempo la loro memoria sarà soltanto una leggenda.

Helvdan avvolse quindi il bambino in una coperta e si avviò a tornare sull'ammiraglia incurante della sua scorta, che gli si stringeva intorno a proteggerlo.

La neve aveva preso a cadere copiosa; il bambino si raggomitolò contro di lui ed Helvdan gli tenne il viso coperto, perché non potesse serbare nemmeno un ricordo di ciò che stavano attraversando.

La neve infittiva. Dinesh si passò una mano sulla faccia, a liberare gli occhi da quel velo gelato dietro al quale avrebbe voluto sparire; i soldati di Hasgalen avevano acceso un grande falò davanti alla porta dell'ovest, e da lì un andirivieni continuo gli diceva che qualcos'altro stava accadendo.

Il Sapiente si rimise in piedi, si avvolse nel mantello che aveva sul petto il simbolo della spada con l'elsa di sole e raggiunse la porta. Un capitano, riconoscendo le insegne ed ignaro dell'ordine del Re, si inchinò, e Dinesh lo dispensò dal rendergli omaggio con un cenno lieve. Lasciò invece lo sguardo sui soldati e sui corpi che portavano sulle spalle: uomini, donne, vecchi e giovani, con le teste ciondolanti a riempirsi di neve, e che lasciavano una traccia di sangue a segnare il sentiero dalla porta ad un punto della scogliera, lontano, oltre le rocce.

— Che cosa accade? — mormorò Dinesh.

— Il Re ha ordinato di buttare tutti i corpi in mare — replicò l'uomo, e poi volse via lo sguardo, sovrintendendo a quella strana processione con il distacco di chi è abituato ad obbedire. Non si aspettava altre richieste e non aveva alcun motivo per dubitare della legittimità della presenza del Sapiente; anzi fermò un paio di soldati per permettergli il passaggio tra le macerie della porta.

— Il Re è ancora in città? — chiese Dinesh.

— Non so risponderti, Sapiente — si scusò il capitano.

Dinesh passò oltre, inerpicandosi in fretta per la strada che saliva. I soldati stavano svuotando quel quartiere e molti cadaveri erano ammucchiati agli angoli, in attesa di essere trasportati; lì accanto erano ammassati anche i bambini e gli adolescenti rastrellati nelle case e destinati ad essere schiavi. I soldati li legavano per un polso uno all'altro; tra loro gli adolescenti cercavano in qualche modo di lottare, subito ridotti alla quiete da un colpo con l'elsa della spada, o con il corpo della balestra, entrambi abbastanza pesanti per frantumare ossa ancora fragili.

Dinesh fermò la mano di un soldato dell'Andiron pronta a calare per la seconda volta sulla faccia di un ragazzo. Il soldato si stupì della forza che gli teneva imprigionato il polso; forza che riteneva impensabile in un uomo che ai suoi occhi era già vecchio, e che tuttavia gli impediva di muoversi. Il ragazzo era in ginocchio, la faccia piena di sangue che gli usciva abbondante dal naso rotto. Aveva un segno a forma di stella sulla fronte e gli occhi grigi, che non si abbassarono nemmeno quando il vecchio, allontanando il soldato, si chinò a sfiorargli il capo, portandosi via con quel semplice gesto il dolore che gli devastava il corpo, e la paura che gli chiudeva la mente.