Agghal si bloccò di colpo. La sorpresa doveva sconvolgere il foriere più del dolore. Akeo spinse più a fondo l’arma, avido di spaccare il cuore, di interrompere quella vita e quello strazio. Troppo tardi. Pallido. Un volto spettrale. Agghal si era voltato e lo fissava.

“Questa è N’il, fratello.” Era il commiato rituale dei Dharca quando, per crudele mercenariato, dovevano combattersi tra di loro, su fronti opposti. In nessun’altra circostanza un Dharca aveva mai ucciso un altro Dharca. Fino a quel giorno.

“Questa è N’il, fratello.” Questo avrebbe voluto dire Akeo, ma le labbra strette della sua bocca non poterono che tremare per un violento conato. Poi non ricordò più nulla. Solo il ritmo regolare della mezza spada che ribatteva a destra o a manca le lame nemiche, mentre la punta della lama lunga apriva ventri, polsi o gole. Un ragazzetto selvano dalle vesti lacere lo aggredì al fianco, conficcandogli un pugnale d’osso in una coscia. Neppure lo sentì. Avrebbe ricordato a malapena di un taglio sferrato a piena forza e una testa spiccata di colpo. Il resto fu solo una mischia oscena. I bardi avrebbero cantato di gesta eroiche. Una fantasia per coprire l’orrore.

Che odore aveva la battaglia? Il meno nobile. E il più vero. Sangue, metallo, viscere, fumo, escrementi. Questi erano i soli frutti della guerra.

Ma per una volta Akeo non sentì nulla del genere. Il peso del tradimento lo stordiva.

Quando ormai non c’era più nessuno da abbattere, un suo sottoposto lo avvertì della fine dello scontro. Si sentiva confuso, lento. Qualcun’altro gli disse che avevano vinto. Un vittoria amara, duecentosette i Dharca morti, ventidue feriti di cui la metà difficilmente avrebbe passato la notte. Destinò Lecto, un veterano, al ruolo di nuovo foriere e gli ordinò subito di serrare i ranghi per lasciare il campo di battaglia. Morti e feriti vennero caricati sui carri. Partenza immediata per Vatis.

Akeo lasciò per ultimo la spianata, lo guardo di Agghal gli si era impresso negli occhi e lo lacerava dall’interno. Cercò consolazione nel pensiero che l’indomani avrebbe iniziato il sentiero per raggiungere, finalmente, il vero nemico del suo popolo.

La ferita (1)

Recoris. Tutto era iniziato nel campo di battaglia di Recoris. Uno scontro duro, violento. Due guarnigioni Dharca spazzate via dal Vagatore, un Portatore di Caos, un mostro enorme contro cui l’insediamento di Recoris aveva dato fondo a ogni possibile risorsa.

L’arte della guerra, su N’il, si era adatta per combattere contro questi giganteschi Distruttori. Maestri d’armi inastate Lancharion, mulinatori di Scudi da Taglio Schildjer, artiglieri degli occhi di drago alchemici. Dai corpi dei Portatori di Caos proveniva l’intera scienza e magia di N’il, che si scatenava contro essi con effetti devastanti.

Sballottato, ferito, Akeo era solo un uomo in mezzo a un inferno di fiamme e lunghi arti mulinanti.

Ricordò solo la grande coda-frusta del Vagatore che per l’ennesima volta macinava la carne dei suoi compagni, ghermendolo assieme a loro e scagliandolo in aria. Poi il buio.

3

Di ogni compenso un Dharca tratterrà per sé solo lo stretto necessario a sopravvivere, destinando tutto il resto alla carovana Maruj.

Quella notte gli uomini di Akeo allestirono la pira per i caduti presso l’accantonamento di Vatis, nulla più che baracche miserabili. Invece che venderne gli organi freschi come facevano gli Skavel, o i genitali a usanza dei Barbari della linea dell’Ombra, i Dharca bruciavano i cadaveri dei compagni e riducevano le teste in polvere. La carne diventava cenere e la cenere era dispersa. Come le loro vite, sussurrava una voce dentro Akeo.

Il Capitano non poté non avvertire una fitta quando fu il turno di Agghal di finire sulla pira ardente. Il calore delle cremazioni aveva reso l’aria rovente nel patio in cui alloggiavano, ma lui sentì il sudore congelarsi d’improvviso. Davvero aveva ucciso un altro Dharca? Gli era capitato decine di volte, in altrettanti conflitti, di affondare la lama nella gola di un fratello di Clan. Ma si trattava di battaglie, ogni testa di un Dharca nemico che veniva recisa era pagata un sacco di cubi d’oro, era gloria e guadagno per il clan, era giusto. Agghal no. Il foriere era morto nel disonore. Akeo dovette chiudere gli occhi davanti al corpo della propria vittima che ardeva. Davvero aveva spezzato una tradizione millennaria?

Cercò di soffocare una forte emozione e diresse lo sguardo verso le torri dei governanti di Vatis.

“Là dentro banchettano su soffici cuscini e pensano alla conquista”, pensò. “Gustano piaceri mentre noi bruciamo i fratelli”.

E’ lo stesso dentro la carovana Maruj? Di nuovo quei pensieri, quei sospetti insidiosi come una daga affilata contro il dorso del collo. I nostri padri godono una vita a noi proibita? Si portò istintivamente una mano al dorso del cranio. Sentì il contatto con il proprio elmo a bacinetto. Sotto l’acciaio pulsava una cicatrice frastagliata. La sua benedizione. La sua illuminazione.