Non voleva essere seccato, ma non si faceva problemi a seccare gli altri. Il vecchio si chiese se era quello che la gente intendeva per conversazione. Non aveva voglia di parlare della sua famiglia, delle sue speranze, dell’impatto con la realtà. Cercò un’altra risposta.

- Per i libri – si decise – lo sai cosa sono?

L’altro assentì. Un erudito, dunque. Ottimo, gli avrebbe risparmiato noiose spiegazioni preliminari.

- Sono delicati. Se li tieni dalla parte della pioggia, si gonfiano per la muffa e diventano inservibili, ma se li tieni dalla parte del sole, sbiadiscono e non puoi più leggerli. D’altro canto, la legge proibisce di tenere all’ombra qualsiasi cosa non sia cibo o uomo vivente, quindi non si può costruirgli attorno una stanza dedicata. Le chiamano biblioteche. Sono fresche apposta per non sciupare i libri.

- Se costruisci un riparo d’ombra, ci vogliono stare le persone, non le cose. Tasan si guardò attorno, spaziando dalle travi del tetto al pavimento di terra battuta. -- Per un riparo come questo, qualsiasi clan ti ammazzerebbe senza pensarci. Il legno trattiene il fresco della notte, tutti lo vogliono.

- Qui non vuole starci nessuno. Di sopra ho tre stanze dedicate, dalla parte del sole ovviamente, e nessuno viene a dirmi che devo sgomberarle.

Tasan lanciò un’occhiata alla scodella delle rane. Sapeva, come tutti, che quello non era il peggio. Come tutti, d’altro canto, quale fosse il peggio non poteva saperlo.

- Sono così importanti da sfidare gli dèi?

- Sono la parola degli dèi. E’ grazie a loro che ho campato finora: mi dicono come curarmi, mi avvertono dei pericoli, e mi fanno compagnia. Cos’altro occorre?

Era una domanda retorica e non si aspettava una risposta, ma l’uomo lo guardò con una strana espressione, insieme penetrante e compassionevole. Non disse niente, ma nella sua mano comparvero due monete, che lasciò cadere sul tavolo. Nel farlo, il mantello si aprì. Il vecchio vide che sotto, a tenere insieme gli stracci informi che avevano tutti, c’era una cintura borchiata d’oro, fibbie lucenti, e un rapido baluginare, prima che il manto ricadesse, spettegolò di gioielli, occultati bene, ma non troppo. Per un attimo uno scintillio lungo, affilato, parlò addirittura di armi in metallo. Naturalmente, il vecchio non fece commenti.

- Due monete per dormire sopra, hai detto? 

- Dalla parte della pioggia. Da quella del sole, è tutto occupato.

Tasan si avviò sulle scale, senza salutare e senza chiedere una torcia. Decisamente, non gli piaceva essere seccato.

Il vecchio finì il suo brodo, spolpò le rane stracotte e mise la scodella sul davanzale, perché la pioggia battente la lavasse. Si chiese se l’uomo sarebbe riuscito a dormire, abituato com’era al pugnalare silenzioso dei raggi, non a quello rumoroso delle gocce che fendevano il cielo nero, con le nuvole così basse che sembrava di poterle toccare. Le nuvole erano più dense della sabbia e più implacabili del legno, per trattenere i raggi.

Le monete luccicavano sul tavolo. Erano nuove, lustre che sembrava ci avessero sputato sopra, con da una parte c’era una nuvola trafitta da un fulmine, dall’altra un sole pieno di raggi. Dovevano averle coniate apposta per Tasan, il metallo si lavorava solo se ne valeva la pena, e ne valeva la pena davvero di rado.

Il vecchio rimase a rigirarsele tra le mani, sole e pioggia, pioggia e sole, due facce opposte, che non si incontravano mai.

L’uomo mangiò le rane, bevendo il brodo bollente senza neanche soffiarci su. Saltare un pasto rendeva tutti meno schizzinosi.

- Come vivono quelli dalla parte della pioggia?

- Come quelli dalla parte del sole. Poco e male.

- Mi hanno detto che loro non muoiono per l’aria velenosa.

- Non è velenosa l’aria, ma i raggi del sole. Senza le nuvole, colpiscono il corpo e dopo un po’ lo bruciano da dentro, come un fuoco senza fiamme.

Erano sottigliezze che interessavano poco chi moriva urlando, per il bruciore che lo divorava, ma il vecchio ci teneva a fare i dovuti distinguo. L’acqua e il sole provocavano la stessa cosa, alla fine, ma facevano urlare in maniera diversa, e non c’erano molti altri modi per dare dignità a chi finiva così, se non peccando di piaggeria.

- In ogni caso, quelli dalla parte della pioggia non ci muoiono.

- No – concesse il vecchio – muoiono per l’acqua, loro. Entra nelle ossa e le fa marcire.

Tasan guardò fuori dalla finestra, e il vecchio notò di nuovo che i suoi capelli erano bianchi, soffici, come qualcosa che non è mai stato esposto al sole o alla pioggia. 

- Ho sentito dire che un tempo non era così. Un tempo c’erano le nuvole e c’era il sole, tutto mescolato. Non c’era la linea di separazione, e nessuno dei due faceva in tempo a farci bruciare, o marcire.

- Un tempo il mondo non era maledetto.

Tasan si tolse dai denti un dente di rana, come una spina. -- Tu non sei morto per l’aria velenosa, e neanche per l’acqua nelle ossa.