Il dolore azzannò la gamba del vecchio, come se qualcuno ci avesse piantato dentro un punteruolo. 

Si afferrò il polpaccio lesionato, con un grido, uno solo, per la semplice sorpresa, poi respirò a fondo, cercando di riordinare le idee. Una rana gli passò accanto, galleggiando sul rigagnolo di pioggia che la portava via. Aveva la pancia piena di girini, che l’avevano azzannata prima di cominciare ad agonizzare a loro volta.

La ferita sul polpaccio era un punteruolo rovente, faceva un male cane.

Nella sua storia, l’eroe salvava la principessa e regnava sul mondo tornato mite e gentile. Nella leggenda, l’eroe era destinato a morire, dopo essere arrivato laddove nessun altro avrebbe potuto, il catello maledetto che custodiva la maledizione del sole e della pioggia, il lascito di un’altra epoca, di uomini folli e dèi infuriati, di magie che sfuggivano al controllo dei loro autori e di gente che fuggiva da città in fiamme, verso il sole, verso l’acqua, ovunque, purchè fosse lontano dalla linea mediana. Nella sua storia, gli animali tornavano piccoli e miti, facili da sopraffare e da schiacciare, nella leggenda i mostri morivano.

Il vecchio pensò che non avrebbe mai saputo chi aveva ragione, se lui o la leggenda. Il suo tempo era finito, non per qualche maledizione, ma per la naturale consunzione dell’età: non era proprio possibile che potesse percorrere tutta la strada fino al primo insediamento umano, non ce l’avrebbe fatta, mostri o non mostri, sole o pioggia che fosse. Occorreva arrendersi alla natura. Sarebbe rimasto lì e non avrebbe mai saputo. Non che avesse particolare importanza. Gli dispiaceva solo per le monete di Tasan, avrebbe voluto conservarle.

Lentamente, con tutta la fatica e il dolore dei suoi novantatrè anni – strano che ricordasse ora la sua età, aveva perso il conto, ma forse qualcosa in lui non l’aveva voluto dimenticare – si tirò su, sopra le rane già gonfie di umidità e i girini che diventavano lucidi, prima di ingrossarsi a loro volta. Edema, aveva letto che si chiamava, ed era quando l’acqua si infiltrava sotto la pelle e la tendeva, rendendola gonfia e luccicante. 

- Nessun castello per me, Tasan. Ma, tanto, l’eroe non ero io.

Lo disse a voce alta perché gli sembrava giusto così, e alzò gli occhi nel dirlo, perché anche quello gli sembrava giusto. Dovette socchiuderli subito, però, con un sussulto di sorpresa, mentre le pupille si contraevano per l’improvviso mutamento nelle condizioni della luce.

Un raggio di sole aveva squarciato le nubi e illuminava le pietre bagnate. Le gocce d’acqua in sospensione parvero danzare, nella pioggia rarefatta, che il vento sospingeva in là, dall’altra parte della linea.

Il vecchio decise di attardarsi un altro po’, per vedere almeno quello. Non avrebbe saputo chi aveva ragione e non avrebbe ritrovato le monete di Tasan, sotto l’immenso corpo del formicaleone, però quello l’avrebbe visto prima di tutti. 

Doveva solo attendere che l’angolazione del sole diventasse giusta e che l’umidità residua, tra le nuvole che si diradavano, si frantumasse in sette colori, il risultato della mescolanza del sole e della pioggia.

Sarebbe stato in assoluto il primo a vederlo.