Per il suo rituale, Voldemort adopera l’osso del padre,la carne del servo e il sangue del nemico: elementi specificinon citati a caso. Se, da una lato, la carne di Codalisciaserve unicamente da supporto materiale al nuovo corpodi Voldemort, non potendosi ravvisare particolari implicazionisull’importanza simbolica del donatore (Minus è considerato semplicemente un servo, quindi probabilmentela carne viva più facilmente reperibile in giro in quelleparticolari circostanze), molteplici sono invece le applicazioni“magiche”, adottate presso i popoli non civilizzati, che impiegano le ossa dei defunti. Una specifica credenzareputa che queste contengano ancora vita – tant’è che ilcostume funerario di alcune tribù australiane prevederela rottura di quelle del braccio per liberare lo spirito deldefunto e permettergli di raggiungere l’Aldilà – la quale può essere rinnovata irrorandole con del sangue. Nel fattoche Voldemort usi proprio le ossa di suo padre si potrebbeanche leggere una sorta di rivincita psicologica sul genitore che non l’ha mai voluto e lo spregio definitivo di ciò cheegli è stato: non solo Voldemort l’ha ucciso, per freddavendetta, tanti anni addietro, ma ora usa sacrilegamentele sue spoglie, in modo quasi “cannibalistico”, per un rito che lo aiuterà a fabbricarsi un corpo immortale. Tuttavia,il fatto che Voldemort disprezzi la parte Babbana di séal punto da rigettare il proprio nome anagrafico, inducea pensare che debba esserci di più, in questa scelta, che una mera rivalsa. La spiegazione potrebbe derivare allora dal fatto che, secondo alcuni sistemi magici come il PaloMayombe, l’affinità del defunto con l’officiante riveste unaparticolare importanza in quanto potenzia la carica magica del rito. Il Palo Mayombe, originario del Congo, è stato tramandatodagli schiavi trapiantati in America ai tempi del colonialismo spagnolo. Secondo alcuni, rappresenterebbeil lato oscuro della Santeria, religione sincretica di origineafricano-caraibica, mentre secondo altri sarebbe simile allo Sciamanesimo, in quanto utilizza elementi della naturacome bastoni, ossa, pietre, terra, erbe, mescolati – guardacaso – in appositi calderoni assieme ad altri oggetti sacri.Purtroppo, su questo punto, la Rowling non si è mai addentrata a spiegare le proprie fonti antropologiche, forse timorosa che ulteriori precisazioni potessero corroborare le risibili accuse di incitamento alla stregoneria che trovano proprio nel rituale del calderone descritto nel quarto libro uno dei loro cavalli di battaglia preferiti. Pertanto, ancorché basata su credenze magiche esistenti e corroborata dal fatto che la scrittrice abbia già usato nozioni di magia caraibica nell’invenzione degli Inferi e forse anche in quella dell’incantesimo Aguamenti (14), qualsiasi teoria sul materiale antropologico fondante questo dettaglio del rito nero voldemortiano resta pura speculazione accademica.

Ci si muove invece su terreno più solido quando si esamina l’elemento sangue. Alla luce di quanto avverrà successivamente nella vicenda, si può infatti affermare con certezza che qui la Rowling  abbia voluto usare la valenza antropologica del sangue come veicolo dell’anima. Esso è infatti imprescindibile elemento della vita umana: ci accompagna alla nascita, ci permette di rimanere in vita, scandisce la maturità sessuale e i periodi di fecondità della donna, è presente durante il primo rapporto sessuale e, infine, durante il parto, chiudendo così il cerchio. Non stupisce quindi che assuma un ruolo centrale nei riti magici e che la sua qualità di elemento vivificante finisca per assumere, nelle credenze primitive, valenze di vettore spirituale.

La Rowling gioca qui con due diversi convincimenti “magici”: il primo, appunto, quello appena evidenziato; il secondo quello per cui incorporare in sé una parte del nemico equivale a ereditarne la forza e le qualità. Voldemort agisce esclusivamente in base a quest’ultimo assunto, ritenendo che avere nelle proprie vene il sangue di Harry lo renda immune dalla magia di Lily, che finora gli ha impedito di toccarlo (così come si legge nell’episodio finale del primo libro, in cui il professore posseduto da Voldemort prova dolore fisico se messo a contatto diretto con il ragazzo). Il grande mago trascura invece completamente il primo aspetto, commettendo così un errore fatale. Harry infatti, anche con un pezzo di anima di Voldemort racchiuso in sé, restava comunque – fino all’episodio cimiteriale – un essere mortale, poiché un Horcrux è una riserva da cui il mago oscuro può attingere per non morire, ma esso non regala alcuna indistruttibilità al suo mero contenitore (quale anche Harry, benché essere vivente, innegabilmente è diventato). Il ragazzo sopravvive dunque al primo Avada Kedavra perché il sacrificio di Lily l’ha protetto, ma la seconda volta, quando l’Anatema-Che-Uccide gli viene scagliato contro nella foresta di Hogwarts (15), è trattenuto alla vita proprio grazie all’errore di valutazione sulla forza del sangue commesso da Voldemort. Ce lo spiega Silente nel limbo dalle sembianze di King’s Cross quando afferma: