La scrittura nel corso del tempo è mutata, seguendo l’evoluzione dell’uomo. Dai disegni sulle pareti delle grotte si è passati all’uso di caratteri cuneiformi, ai geroglifici, agli alfabeti composti di lettere.
Anche le tipologie di storie sono cambiate. Dagli dei ed eroi greci, si è passati ai cavalieri e ai re del periodo medievale, fino ad arrivare agli uomini di scienza: ogni epoca, con la sua tipologia di pensiero dominante, ha influenzato le opere scritte divenute maggiormente famose. Basti pensare a esempio come le scoperte del galvanismo in ambito scientifico abbiano avuto influenza sul romanzo dell'inglese Mary Shelley avente protagonista il mostro di Frankenstein. Oppure alle opere di Jules Verne, scritte in un periodo di grande sviluppo tecnologico (Rivoluzione Industriale), che fu il padre del genere fantascientifico divenuto così di moda quando l’uomo cominciò a fare i primi viaggi nello spazio e a fare grandi scoperte come quella della bomba atomica.
E’ proprio nel secolo in cui si sono verificati simili eventi, che si è avuta la maggiore alfabetizzazione della popolazione; fattore che ha portato a una maggiore diffusione della letteratura, vedendo crescere il numero di pubblicazioni e di tipologie di storie. Un’evoluzione che nel giro di pochi anni ha avuto un’accelerazione, vedendo proliferare i suoi prodotti in modo esponenziale, fino ad arrivare al presente, che, grazie ai media, ha visto un boom dove sono prodotti migliaia di romanzi l’anno.
Lasciando stare opere quali l’Odissea, Beowulf, Divina Commedia e anche quelle dell’ottocento (Un americano alla corte di re Artù di Mark Twain, Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde), soffermandoci sulle produzioni del XXI secolo, che cosa è cambiato nella narrativa, specialmente in quella fantasy?
Sia la tipologia di storie narrate, sia lo stile usato per raccontarle, adattatisi ai tempi che corrono.
Una valenza che specialmente negli ultimi anni è andata accantonata (fortunatamente non sparita grazie ad autori come Bradley, King, Erikson, Sanderson), sacrificando il contenuto e la profondità alla commercialità. I libri sono divenuti sempre più prodotti di consumo, dove l’introspezione, la riflessione, l’evoluzione attraverso le vicende narrate che erano specchi d’esperienze danti consapevolezza, sono passati in secondo piano a causa di storie che secondo la volontà editoriale dovevano rispecchiare, per vendere, gli stati d’animo del lettore (specialmente quelli adolescenziali) e il suo mondo. Per questo ad ambientazioni lontane, di un altro tempo, sono state preferite quelle attuali: le storie sono ambientate in luoghi reali come Londra, Roma, New York, per far sentire la narrazione più vicina ai lettori. Si osserva che nella preponderanza dei casi si narrano le vicende di bambini o ragazzi per parlare dei disagi, dei problemi, dei gusti personali dei giovani; il fantasy, specialmente quello che viene definito young adult, diventa un pretesto, viene limitato a parlare di una realtà ristretta e non a trattare temi a grande respiro riguardanti l’umanità intera, mostrando un mondo piccolo incentrato sull’egocentrismo. Le uniche problematiche affrontate sono quelle personali, come se tutte le restanti, formanti la realtà, non siano importanti o addirittura non esistano; uno sguardo limitato che è specchio del vivere della società attuale, ovvero occuparsi solo della propria persona.
Lo stile di autori come Le Guin, Tolkien, ma anche Robert Jordan (più recente rispetto i suoi predecessori), viene definito sui forum, sui blog che trattano il genere fantasy, prolisso, di scarsa attrattiva.
Il cambiamento dei tempi, se da un lato ha portato a una maggior produzione e distribuzione dei romanzi di genere, dall’altra ha visto inaridirsi la vena creativa e le tematiche trattate, proponendo prodotti sempre più simili tra loro, privi di quello spirito che ha reso certe opere indimenticabili, facendole divenire quei capisaldi che dopo decenni continuano a essere letti e ricordati.
15 commenti
Aggiungi un commentoInteressante articolo, mi permetto di aggiungere una mia osservazione. Guardando i libri fantasy che vengono trasposti in film si vede ancora di più la volontà di scegliere racconti che hanno o partono da un'ambientazione reale. A parte i film tratti dai romanzi di Tolkien non ricordo altri film fantasy prodotti negli ultimi 10 anni con un ambientazione totalmente fantastica e senza nessun legame con il mondo reale.
Andrea.
1. Sono d'accordo, il vero spirito dello scrittore è rimanere fedele a quello che si è scritto, difenderlo. Ma per i più essere scrittore è essere pubblicato.
2.Se non sono una scelta voluta, ma un abbassarsi ai tempi in cui si vive e adeguarsi, allora si tratta di degradazione. Lansdale sa quello che fa, è consapevole del perché di un certo stile; gli altri, quelli di cui parlo nell'articolo, non lo sanno, perché seguono quello che fanno i più.
3.Appunto, manca il filtro. Ma chi è del campo ha esperienza o si è improvvisata? Oppure sa che può fare quello che vuole perché la gente prederà su tutto quello che gli viene propinato?
La frase doveva essere messa diversamente: bastava scrivere "L’epicità degli anni passati viene persa per una quotidianità..."
Grazie per la risposta, Mirco.
1. Anche per me aveva grande importanza essere pubblicato. Ma ho atteso sette anni e mezzo, in cui ho scritto ogni santo giorno, prima di provare a buttarmi. Non ero molto convinto di essere pronto. E infatti... (Lì ci sarebbe dovuto essere un bel filtro, secondo me: non ero ancora pronto.)
2. Esatto, Lansdale sa quello che fa. Le frasi brevi non sono sinonimo di poca qualità. I caproni sono sinonimo di poca qualità, quando si tratta di narrativa.
3. Dipende. C'è chi si è improvvisato e non ce la fa. C'è chi si è improvvisato e s'è costruito bene, ma non ha le capacità per reggere tutto il peso su se stesso (e, di solito, la carenza maggiore di questi eroici editori, perché lo sono, è tutta concentrata nelle capacità di editing). C'è chi ha conoscenze e tenta di dare sempre una qualità accettabile, seguendo il mercato, non accetta di scendere in basso e cerca con passione i testi migliori che gli capitano tra le mani, facendo poi un grandissimo lavoro di editing o di traduzione.
Se un aspirante scrittore pensa che essere messo sotto contratto da una casa editrice seria - di quelle che non gli spillano i quattrini, ma che rischiano di tasca propria - significhi aver vinto la guerra, allora è già morto. La cosa più importante è l'editor e, commercialmente, la capacità di penetrazione/distribuzione della casa editrice. Ma uno scrittore che è tale sa che la più importante delle due, di gran lunga, è l'editor con cui lavorerà in un corpo a corpo sanguinoso. Se bravo, ne uscirà vivo e più consapevole, oltreché più fiducioso sul vero compito del suo romanzo: smettere di essere suo e diventare di tutti.
Ho trovato l'articolo molto interessante.
Non sono un eseprto del settore, ma concordo sul fatto che le case editrici non contribuiscano minimamente a tenere alto il tenore culturale di ciò che circola in libreria.
Però qui c'è un problema: le case editrici non sono circoli culturali, ma aziende nate per guadagnare. E più il guadagno è facile, più la strada è per loro interessante. Da ciò si spiegano molte cose.
Certo pensare di andare deliberatamente controcorrente per partito preso mi parrebbe una scelta quantomeno stupida da parte degli autori (di tutti gli autori, anche di quelli che intendono mettere qualità nelle proprie opere); sarebbe invece opportuno cercare di scrivere qualcosa di buono anche tenendo in considerazione i gusti del pubblico e da qui iniziare a educarlo verso qualcosa di migliore. Per gradi.
Non che io abbia alte aspettative su me stesso, sicuramente Andrea ha lavorato sulla scrittura più di me, però credo sia doveroso cercare di migliorarsi in tutti i sensi racconto dopo racconto, romanzo dopo romanzo...credo sia deontologicamente corretto, rispettoso per ciò che si fa. Molti autori mirano solo al nome sulla copertina, punto e basta.
Quindi una certa colpa è anche di molti autori.
Quanto poi alla pubblicazione...secondo me, se uno ha scritto un libro è cosa buona che poi cerchi di pubblicarlo tramite una casa editrice che non gli spilli soldi. Che sia giovane, meno giovane, esperto o meno esperto, questo a mio avviso non fa molta differenza. Quello che secondo me fa la differenza è invece la saggezza, ovvero la capacità di pensare di non essere mai arrivati alla meta ultima delle proprie capacità, quindi di mettersi in gioco per migliorare passo dopo passo.
Analisi di grande interesse e alla cui conclusione nessuno può addebitare alcun fallo: condivisibile in toto.
Ed infatti oggi destreggiarsi, all'interno di una libreria od una biblioteca, tra materiale indecente ed altro che valga il nostro tempo, è sempre più difficile.
Per orientarsi non è più sufficiente neppure leggere stampa/siti specializzati, visto che il potere degli editori è talmente grande che impongono articolo e commenti compiacenti anche a prodotti che non sarebbero degni di finire sulla scrivania neppure del nostro peggio nemico.
Spero in una svolta. Chissà.
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