Aveva ventun anni: un uomo fatto, per me. Ricordo solamente lo stordimento e la sensazione pressante della Bruma nel petto, non riuscivo a reagire, stavo seduto a guardare il corpo con gli occhi pieni di lacrime. Era sempre stato gentile da quando ero entrato a far parte della milizia, e aveva cominciato ad addestrarmi all’uso delle armi.

Gli dovevo molto e, nel momento del bisogno, non ero riuscito ad aiutarlo.

I pidocchi avevano calcolato bene la loro razzia. Giunti al tramonto col favore della Bruma e l'aiuto della magia, avevano depredato e ucciso; le guardie, quelle vere, erano morte e nessuno li avrebbe inseguiti. Una rabbia bruciante mi pulsava nel cuore: era come se non  esistesse più nulla al di fuori della nebbia e del dolore, come se non ci fosse  più nessuno capace di raggiungermi e aiutare me, Damiano, gli altri…

L'unico mio pensiero fisso era che non avrei mai abbandonato il suo cadavere ai corvi o alle bestie delle selve. Alla fine, con uno sforzo enorme, iniziai a trascinare il corpo verso il villaggio, ma una sensazione di gelo improvviso mi colpì e una voce argentina mi bloccò, apostrofandomi:

– Che bel giovane...

Mi voltai pronto al peggio e vidi una donna di alta statura, splendida e sorridente, poco distante da me. Nello sfondo stranamente luminoso della Bruma Sanguigna spiccavano i suoi lunghi capelli scuri e il bianco perfetto, sorprendente, della carnagione. L'avrei detta una ragazza innocente ma mi squadrava dall’alto con freddezza e i suoi occhi mandavano lampi di crudeltà. 

Colsi lo sguardo di lei che vagava da me a Damiano agli altri caduti, e vidi che era colmo di maligna soddisfazione.

Il fiato mi si strozzò in gola e non riuscii a proferire parola... Doveva essere Moiraga la Strega in persona, responsabile di tutte le nostre sventure. Doveva essere lei.

Ricordo il suo tocco delicato sulla guancia, leggero eppure gelido.

– Sei impaurito? – domandò con voce dolce e allo stesso tempo irridente. – Non devi temere. Non stanotte.

Sorrise.

Si allontanò di qualche passo, leggiadra, mentre le scure vesti leggere danzavano attorno a lei, quasi gioendo della Bruma che l’avvolgeva, poi mi guardò ancora e sorrise con uno strano scintillio negli occhi spietati: – Tornerò per te...

Un improvviso soffio di vento e non la vidi più. Se n'era andata, ma l'angoscia che aveva portato era rimasta. Mi lasciai cadere tenendo ancora stretto il corpo di Damiano, lo sguardo perso nel vuoto.

Non riuscivo a trovare un minimo di volontà per alzarmi e fare qualcosa. Avrei potuto dannarmi per la strage che nessuno aveva evitato, anche se non era colpa mia e non sarei stato capace di oppormi. Tante persone che conoscevo benissimo, famiglie intere, erano state trascinate verso un destino terribile. Se qualcuno era in grado di impedirlo, certo non ero io. Eppure com'era possibile stare lì, e non poter nemmeno tentare di fare qualcosa? Guardai il volto immobile di Damiano per ore, alla luce della luna, ripetendomi questa domanda finché le parole non ebbero più senso.

– Ragazzo.

Alzai gli occhi. Di fronte a me si trovava un soldato, la sua corazza portava le insegne dell'esercito del Re e al suo fianco pendeva una lunga spada. Sulla schiena teneva legato il pesante scudo.

Realizzai dopo un attimo che tendeva la mano per farmi alzare

– Nel villaggio non c'è nessuno in giro, e tutti questi morti... cos'è successo?

Sembra sconcertato, pensai tra me mentre accettavo il suo aiuto. Tuttavia, negli occhi grigi non v'era traccia di dolore o particolare compassione.

Le sue parole mi resero di nuovo consapevole del mondo che mi circondava: sebbene non mi fossi addormentato, solo ora vedevo che ormai era l’alba.

– Il mio nome è Glauco – disse il soldato.

– Io sono Leandro, faccio parte della milizia di Moldano – risposi ancora confuso, indicando la palizzata alle mie spalle.

Senza aggiungere altro lui chiuse gli occhi di Damiano, lo prese per le ascelle. Lo aiutai, e insieme radunammo i corpi dei caduti: un lavoro faticoso che procedeva lentamente, senza una parola. Cercavamo di ricomporre dignitosamente le vittime, mentre la gente del villaggio iniziò a spuntare lentamente fuori dalle case e qualcuno venne ad aiutarci

 Fu una mattina di disperazione: alcuni, come me e i miei familiari, non avevano perso nessun parente ma a Moldano ci conoscevamo tutti e tutti eravamo in lutto.  Glauco si unì agli abitanti per scavare le fosse: c’ero anche io con mio padre, e ancora nessuno parlava. Sapevamo bene che i morti erano stati fortunati. I rapiti invece sarebbero stati sottoposti ai perversi riti magici di Moiraga, la vita strappata dai loro corpi, senza che potessero difendersi. Pur consapevoli di questo, non potevamo aiutarli.

In mezzo a tanta disperazione, il sacerdote camminava lentamente fra i caduti e invocava la benedizione del Cielo su chi non c’era più e la protezione per  gli scampati.

Terminata la mia parte di lavoro, appoggiai la vanga sul prato, mi misi da una parte ubriaco di stanchezza, e osservai le espressioni di dolore, le lacrime, gli occhi spaventati e disperati... In quel momento capii anche meglio cosa Japo intendeva, la malattia si leggeva nei volti scavati e nelle movenze stanche della gente: tutti erano segnati dalla Bruma Sanguigna, il perfido maleficio della strega che consumava lentamente le nostre vite per prolungare la sua. Avevo paura e volevo vendetta, speravo in un miracolo di salvezza, era impossibile che niente e nessuno accorresse in nostro aiuto. Stringevo i pugni e mi sforzavo di non piangere.

Davanti a me, intanto, la processione dei corpi verso le fosse continuava. Qualcuno aveva un piccolo seguito di parenti o amici in lacrime, altri facevano quell’ultimo viaggio da soli, accompagnati soltanto dal canto del prete.

L'ultimo fu Damiano. Tre uomini stavano per calarlo quando Glauco li fermò: – Aspettate! Questo lo conosco. So anche dove vive la sua famiglia.

– Vivono a Selvaria – confermai a mezza voce. Le altre guardie erano di Moldano o degli immediati paraggi, ma Damiano veniva dalla capitale: era figlio di un armaiolo.

– Bisognerà avvisarli – continuò il soldato. Poi scosse la testa  – Lo porterò io, sono in viaggio per Selvaria. è il minimo che possa fare per un compagno d'armi.

  Guardai il volto immobile di Damiano. – Posso chiedere il carretto a mio padre – dissi. E se me lo avesse rifiutato, l'avrei preso lo stesso. Almeno questo dovevo farlo.