«Sai che m’importa!» Ribatté lei, seguendo con gli occhi il percorso delle gocce: dalle vaste spalle alla vita stretta, lungo quel busto scolpito che era un campo di battaglia sul quale qualsiasi donna avrebbe ceduto volentieri le armi.

Samshat sorrise di quello sguardo così intenso rivolto al suo amico. «Fidati di me ragazza: non te lo vuoi fare un altro giro. Accendi una candela a Sant’Andrea Avellino e ringrazialo, questa notte ti è andata bene.»

A giudicare dal modo rigido in cui la ragazza si muoveva e dai lividi sulle sue braccia nude, non doveva nemmeno essere andata così tanto bene. Forse lo pensò anche lei, perché ciondolò verso il bagno scuotendo la testa come se pesasse una tonnellata, sbatté contro il fianco di Alakim prima di imboccare la porta e poi vi si chiuse dentro.

Samshat riportò la propria attenzione sull’andatura non meno barcollante dell’amico.

«Quanto tempo è che non ti nutri?»

«Tre settimane, mammina» gracchiò Alakim con la gola irritata, mentre sedeva sul letto, ingobbito come una vecchia giacca appesa per il colletto.

«Sei davvero imprudente. Hai rimorchiato pur sapendo in che stato eri.»

Infilandosi una sigaretta tra le labbra Alakim l’accese e soffiò poi nella direzione del suo interlocutore. «Di’ un po’: mi cercavi per farmi la paternale?»

«Certo che no.»

«E allora piantala Sam e dimmi che cazzo vuoi.»

Samshat incrociò le braccia all’altezza del petto. «Ho trovato un prete che può fare al caso tuo.»

«Ma porca puttana, proprio un prete?» Si lamentò Alakim calciando lontano i propri anfibi.

«È tempo di superare questa tua stupida avversione. Si può sapere perché ce l’hai tanto con i sacerdoti?»

«Non ce l’ho affatto con loro. Mi dà soltanto fastidio che siano sempre così convinti di conoscere la verità.»

Samshat si sedette sul letto accanto all’amico, mentre la cascata dei suoi lunghi capelli grigio-bianchi si adagiava luminosa ai lati del viso. «Te lo dico io qual è la verità: la fine del tredicesimo “Baktun” si sta avvicinando e tu, anzi noi, siamo ancora nella merda fino al collo.»

Come se non lo sapessi. Come se non ci pensassi ogni minuto di ogni fottuta notte.

Pensò Alakim senza rispondere. Non voleva litigare.

Si sporse a prendere il posacenere e continuò a fumare guardando dritto verso il muro di pietra. Samshat comprese la sua irritazione, si alzò e andò a bussare alla porta del bagno. «Se ti sbrighi a venir fuori, bellezza, ti accompagno in superficie e ti offrirò anche una bella tazza di caffè.»

La porta si aprì subito.

«Bravo boy-scout» sospirò Alakim. «Tu sì che ci sai fare con le donne.»

La ragazza ricomparve indossando un miniabito da sera nero, al quale aveva dovuto fare un nodo sulla spallina strappata; aveva due occhiaie terribili, ma tutto sommato era carina, era solo un po’ troppo secca per i gusti di Samshat.

«Il mio caffè?» Fu quasi un’implorazione.

Le mise una mano sulla schiena e la spinse delicatamente verso la porta, pronto a sostenerla in caso vacillasse. «Andiamo.»

Lei si volse per un istante a guardare Alakim che continuava a darle le spalle, immobile. Era stata soltanto il passatempo di una notte qualsiasi; cosa fosse accaduto tra loro non era più nemmeno un ricordo.

Strinse la borsetta sottobraccio. «Devo uscire da qui.»

Non appena lasciarono la stanza la testa martoriata di Alakim tornò a godere del silenzio. Con calma s’infilò un paio di pantaloni e un maglioncino nero con scollo a V che sicuramente aveva visto tempi migliori. Fece scivolare in gola due piccole pasticche rosse e attese che la droga sortisse il suo effetto lenitivo contro i morsi della fame; dopo di che si decise a raggiungere l’amico nella zona comune della loro dimora.

Incamminandosi nello stretto cunicolo buio, chiuse le palpebre lasciandosi guidare dalle sensazioni che gli trasmetteva l’aria. S’aggirava come un cieco per puro sfizio e non perché la mancanza di luce costituisse un problema per lui; i suoi occhi, infatti, percepivano il mondo anche attraverso le tenebre. Nella totale oscurità, Alakim vedeva perfettamente. Era la luce a essere sua nemica: la sola luminosità di una comune lampadina gli era insopportabile al punto da doverla schermare; in pieno giorno neppure delle spesse lenti da saldatore l’avrebbero protetto.