* * *

Dopo l’ultima funzione serale i fedeli uscirono dal portone della chiesa riunendosi in capannelli chiassosi. Un paio di ragazzini dallo sguardo accorto notarono la motocicletta bassa e scura parcheggiata al lato opposto della piazza e allungarono di proposito la strada verso casa per poterle passare accanto. Si guardarono intorno in cerca del proprietario e, quando videro un’ombra balzare giù dal muretto con un sonoro “Buh!” scapparono a gambe levate.

Alakim li osservò correre, immaginando come sarebbe stato poter vivere una giovinezza costellata dai normali pensieri e problemi di quell’età.

Dopo poco la gente cominciò a disperdersi e la piazza rimase deserta finché un uomo non uscì da una porta laterale dell’edificio di culto, la chiuse a chiave e ripose il mazzo tra le pieghe del suo abito talare. Rialzato il capo, il sacerdote, rimase attratto da una sagoma che stava prendendo forma dal buio, avanzando sotto i lampioni.

Era una serata ancora piuttosto calda per essere ottobre inoltrato, l’aria soffiava leggera facendo svolazzare gli orli del trench di Alakim che incedeva verso il reverendo con passo sicuro verso il suo obbiettivo. La sua immagine monolitica contrastava con l’andatura agile, quasi stesse planando sul ciottolato, mentre in quel surreale silenzio il canto di una civetta annunciava sventura.

A una distanza sufficiente perché il reverendo potesse vedersi riflesso nelle inquietanti lenti scure degli occhiali di Alakim, egli si fermò. Il fatto che il pastore non fosse fuggito come quei ragazzini non era una dimostrazione di coraggio, bensì era sintomo di pura rassegnazione, poiché, anche volendo, non sarebbe potuto scappare granché lontano. L’uomo che gli stava di fronte non era tanto più grosso di lui, ma era pronto a scommettere che quel che nel suo corpo era “abbondanza”, nel corpo dell’estraneo era tono muscolare.

«Signor Morél?»

Gli sembrò strano che, nonostante l’evidenza, gli si rivolgesse omettendo la sua carica ecclesiastica.

«Sì, sono io. In cosa posso esserle utile?» Domandò il reverendo con tono misurato.

Alakim lo guardò classificando come ordinario il suo viso rasato di fresco; quasi insignificante se non fosse stato per il ciuffo bianco che, come la spuma di un’onda, s’infrangeva sulla fronte ampia e liscia del reverendo. Una fronte così diversa dalla sua, bassa e segnata da piccole rughe dovute non certo all’età, quanto piuttosto alla quantità di cattivi pensieri che gli affollavano la mente. Avvicinandosi di un passo, però, notò la singolarità degli occhi che l’osservavano: erano di un semplice castano eppure risultavano incredibilmente limpidi e profondamente attenti.

Bene, non aveva voglia di perdere tempo e senza tanti preamboli andò dritto al punto. «Mi hanno detto che lei vede nell’anima delle persone.»

Morél aveva un sesto senso per certe cose, ma considerava esagerata l’idea che fosse in grado di “vedere nell’anima”. Con un dito si aggiustò gli occhiali dalla piccola montatura rotonda sul naso; non c’era alcun bisogno di sistemarli, era solo un tic nervoso che prendeva vita nei momenti di tensione.

«Veramente non vedo più in là del mio naso.»

«Eccessivamente modesto da parte sua.» Ma Samshat non poteva essersi sbagliato così tanto sul conto del prete, pensò Alakim.

«Posso domandare con chi ho il piacere di parlare?» Padre Morél protese la mano, pronto ad accogliere quella del misterioso interlocutore, il quale però si limitò ad osservare immobile il reverendo.

«Mi chiamo Alakim. E non è in me che deve leggere, Morél.»

«Non capisco in cosa la posso aiutare.» Rispose quasi sollevato.

© 2013 Anna Chillon, su concessione dell'editore.