Il sangue degli innocenti

Ian avanzò fino a raggiungere un grosso masso, si mise su un ginocchio e si sporse per guardare.

Il sentiero continuava a scendere a ridosso della scogliera fino alla spiaggia. Altri massi spuntavano a intervalli quasi regolari lungo il ciglio esterno. Alla luce sbiadita del giorno ormai alla fine, sull’approssimarsi della piccola luna rossa, quella discesa aveva l’aspetto misterioso di un percorso votivo che dall’altopiano conduceva al mare. E forse lo era stato davvero, in un lontano passato, perché i massi sembravano levigati dalla mano dell’uomo, più che dal vento, e al termine del sentiero, quando finalmente si apriva la spiaggia, ce n’erano altri che indicavano la via fino all’apertura di una voragine scavata dai secoli dentro la scogliera. Una immensa orbita vuota spalancata sul mare come lo sguardo di un Kraken pietrificato. Ian non si era mai spinto via terra lungo quel territorio a Sud di Solian e le sue alte scogliere erbose a picco su spiagge di arenaria. Può darsi che l’avesse scorto dal mare, durante le sue uscite solitarie in barca a vela sotto costa, ma non lo ricordava. Ora, tuttavia, il suo animo non era sereno come quando veleggiava, ma inquieto e rabbioso. La mente vigile, lo sguardo attento a ogni dettaglio, l’udito teso e la mano pronta, Ian era in caccia e non aveva alcuna intenzione di farsi scappare la preda.

Erano giunti all’alba di quello stesso giorno. Quattro sbandati facili di coltello in cerca di bottino. Forse si erano fermati un po’ al limitare della foresta per osservare la loro nuova riserva di caccia: Solian, delle province libere, che dal grande altopiano tagliato in due dal corso del Fluhrefindhe digradava verso il mare in una miriade di case addossate le une alle altre lungo stradicciole di acciottolato.

Arrivati da chissà dove e con chissà quali speranze di razzia, a quei quattro bastardi si doveva essere smorzato il sorriso sulle labbra nel vedere quanto la preda fosse troppo grossa per loro. E pericolosa. Solian non era difesa come le grandi città dell’Impero, ma sapeva farsi rispettare. Porto marittimo di prima grandezza, dotata di sei moli di attracco per le navi mercantili fino a tre alberi e di dieci moli per i pescherecci, era protetta da una cinta muraria su entrambi gli ingressi, da terra e dal mare. Due porte principali e due secondarie guardate da torri di presidio con ronde di guardia continue erano i suoi punti di accesso e durante la notte ardevano ovunque, sugli spalti, bracieri di posizione e fari di controllo.

Sì, la preda era fuori dalla portata di quei quattro. Il sorriso gli si era di certo spento sul muso, ma poi doveva aver ripreso vigore nel vedere le molte fattorie che sorgevano al limitare della città. Non così vicine le une alle altre per darsi man forte immediata. Senza torri di presidio esterne. Senza fari o fuochi notturni a illuminare i sentieri. Ci sarebbero stati dei cani da guardia, ma non erano un problema, e sebbene il sole fosse prossimo a sorgere e certe faccende avrebbero dovuto essere sbrigate con il favore delle tenebre, quegli avanzi di galera avevano pensato che non fosse il caso di fare troppo i difficili. Così scelsero la fattoria di Miro e Ledana Mowlish, ammazzarono i loro due meticci prima che potessero emettere un latrato ed entrarono.