Indossava quella che negli anni era diventata la sua tipica tenuta da viaggio per le missioni da scout. Pantaloni color tabacco, stretti ai polpacci dentro una fasciatura di cotone trattato con una speciale resina che la rendeva resistente quasi quanto dei gambali di cuoio, ma senza averne lo svantaggio dell’ingombro. La camicia, di un colore appena più chiaro di quello dei pantaloni, era stretta agli avambracci con le medesime fasce, che terminavano a metà del dorso delle mani. Ai piedi calzava un paio di scarponcini di cuoio, comodi più di qualsiasi stivale avesse provato, adatti ai lunghi cammini, robusti abbastanza per sfondare una porta con un calcio ma allo stesso tempo leggeri per non affaticare il passo. La vita era stretta da una fascia sulla quale era allacciato un cinturone di cuoio, a sostegno di una daga a lama ricurva portata sul lato sinistro e di un pugnale seghettato sul lato destro. Armi che, stavolta, per la fretta di partire, Ian aveva lasciato a casa. Appesa alla schiena, però, nel fodero di pelle morbida, la sua spada a una mano e mezza spuntava da dietro la spalla per tutta la lunghezza dell’impugnatura.

L’abbigliamento di Ian era poco adatto ai combattimenti, ma ideale per i viaggi, sia a cavallo che a piedi, perché lasciava il corpo libero di muoversi in ogni situazione, senza pesi superflui né fastidiosi tintinnii metallici, ed era di un colore perfetto per mimetizzarsi nei boschi. Sul capo lo scout non usava portare nulla; teneva i capelli biondi, lunghi fino alle spalle, raccolti all’altezza degli zigomi dietro la nuca e legati in un corto codino.

Ian raggiunse la spiaggia quando ormai era sceso il buio. Il mare era leggermente increspato da piccole onde che si adagiavano sulla battigia a lunghi intervalli regolari. La Luna Rossa, quasi nel pieno del suo splendore, sebbene più piccola della grande Luna Bianca, illuminava l’ambiente quanto bastava per muoversi, ma l’orbita vuota del Kraken era comunque immersa in un buio totale. Eppure Ian vi scorse una luce.

Dentro quella caverna qualcuno aveva acceso un fuoco.

Lo scout estrasse la spada dal fodero e si diresse verso la grotta marina, prendendo una via che gli avrebbe consentito di arrivarvi lateralmente, con la scogliera a coprirgli il fianco destro. L’impugnatura di Sævhasectha, come si chiamava la sua spada in lingua antica, che in lingua comune significava “Tagliatrice Crudele”, trasmetteva il suo mistico calore alla mano di Ian facendogli sentire la sua rassicurante presenza. La lama brunita non emanava alcun riflesso, ma al suo interno scorreva una energia arcana che la rendeva viva, potente e letale come solo una spada così particolare poteva essere, forgiata con lo scopo primario di uccidere Draghi.

La luce del fuoco si fece più vivida man mano che Ian si avvicinava, giungendo infine a dar forma alla caverna. Si trattava di una immensa grotta marina dalla cui volta calavano fin quasi al suolo le radici degli alberi che crescevano sull’altopiano sopra di essa. Il riflusso delle onde di alta marea aveva creato un piccolo lago sul lato sinistro, mentre su quello destro si allargava una landa rocciosa di lastroni levigati che spariva poi nel buio più profondo. Su uno di quei lastroni le sue prede avevano acceso il loro fuoco. Ian sentì la soddisfazione di averli finalmente raggiunti montare dentro di sé in modo rabbioso e si scoprì a stringere i denti fino quasi a spaccarli.

Erano stati in gamba, quei bastardi. Dopo il massacro erano fuggiti senza lasciare tracce, tanto che probabilmente le altre squadre di ricerca si erano date per vinte al termine di quella giornata. Ian sapeva bene quanto fosse difficile stare alle costole di una preda senza scorgere segni del suo passaggio.

Quando lui e Gmor andavano a caccia, capitava a volte di seguire una traccia per poi non trovare più nulla. Spesso ci pensava Gmor con il suo fiuto da Orco a riprendere la via giusta che li conducesse alla preda e grazie a lui anche gli inseguimenti più difficili, quelli delle bestie più furbe come i locanidi o le linci del Suprelure, volgevano al successo. Ma quando si inseguono uomini, anziché animali, la faccenda è molto più complicata. Occorre usare l’istinto e la ragione, dove l’osservazione attenta dell’ambiente o la vista e l’olfatto di un Orco sono inutili.

L’istinto e la ragione avevano suggerito a Ian che uomini in fuga seguono sentieri veloci. Che non si arrischiano ad attraversare i fitti boschi, perché l’intrico della vegetazione rallenta il cammino. E peggio è se, oltre al bottino, ti stai trascinando dietro un ostaggio, come era in quel caso.

L’istinto e la ragione avevano così portato Ian e Gmor a cercare gli assassini in fuga lungo la costa e non all’interno dell’altopiano. E avevano avuto ragione. Ian li poteva vedere chiaramente, ora, seduti attorno al fuoco a passarsi di mano un piccolo otre e a fumare la pipa. E poteva vedere anche Luna, con le caviglie e i polsi legati, la schiena appoggiata a una roccia e la testa reclinata in avanti per lo sfinimento. Ma gli assassini erano tre, e non quattro come aveva detto Feda, e nel momento stesso in cui Ian se ne accorse, la lama gelida di un pugnale scivolò rapida nel buio e la punta si appoggiò alla sua schiena.

© 2014 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

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