Sidney Sime – The Terrible Mud (1910)
Sidney Sime – The Terrible Mud (1910)

Lord Dunsany giocava a scacchi con notevole abilità (pareggiò con un ex campione mondiale, Josè Raul Capablanca) e soprattutto amava la caccia, tanto che il suo biografo Mark Amory era indeciso se definirlo uno scrittore che cacciava o un cacciatore che scriveva. Le escursioni con cane e fucile, il contatto con la natura, la vita e la morte erano una delle sue principali fonti di ispirazione. La caccia fu anche all’origine di alcuni dei suoi viaggi più suggestivi, come le spedizioni nel Sahara algerino, avventure che paradossalmente gli garantivano una comunione proprio con la vita che avrebbe distrutto. Le situazioni contraddittorie e paradossali non erano del resto inconsuete nella vita di Dunsany. Essere un nobile protestante e unionista in Irlanda negli anni più tumultuosi delle lotte indipendentiste era di certo una posizione pericolosa. Nonostante la fedeltà alla corona fosse all’epoca molto rischiosa, Dunsany poteva contare sulla simpatia popolare di cui godeva la sua famiglia. E infatti quando, durante una rivolta a Dublino, nel giorno di Pasqua del 1916, Lord Dunsany fu ferito al volto, in maniera non letale, da un proiettile, gli stessi ribelli che lo avevano colpito finirono per rammaricarsi dell’incidente e lo soccorsero portandolo in ospedale.

Fu anche per la spinosa situazione politica del suo paese che i temi celtici e irlandesi entrarono nell’opera di Dunsany solo molto tardi, quando ormai la sua penna aveva smesso di visitare i mondi fantastici di un tempo. Negli anni trenta, quando l’Irlanda era ormai diventata una repubblica indipendente, Dunsany ritenne legittimo dedicarsi alle amene descrizioni dei luoghi amati e degli episodi della sua gioventù, le battute di caccia e le escursioni tra i pantani e le torbiere della contea di Meath e dintorni. Romanzi del periodo quali The Curse of the Wise Woman (1933), Up in the Hills (1935), The Story of Mona Sheehy (1939) gli garantirono un certo rinnovato successo e l’inclusione nella Irish Academy of Letters, fondata da William Butler Yeats, l’autore irlandese che aveva incoraggiato Dunsany a tentare anche la carriera di drammaturgo. Per inciso, la carriera di Dunsany drammaturgo fu piuttosto prolifica (quasi una decina di raccolte di plays) e per qualche tempo fortunata anche se non duratura (Lovecraft ricorda il primato di cinque drammi di Dunsany messi in scena contemporaneamente a Broadway, mentre in Italia Luigi Pirandello fece rappresentare una sua tragedia, The Gods of the Mountain, con il titolo Gli dei della montagna). L’amicizia con Yeats invece si deteriorò col tempo, tanto che questi per molti anni rifiutò a Dunsany l’ammissione a pieno titolo nell’Irish Academy of Letters, adducendo come motivazione proprio la mancanza di un soggetto tipicamente irlandese nella sua produzione fantastica.

Non tutti i suoi ammiratori (Lovecraft in primis) apprezzarono l’abbandono da parte di Dunsany delle terre fantastiche e il suo ritorno a storie e paesaggi ben più familiari e terreni. Eppure il barone non si fermò mai a una rappresentazione realistica e obiettiva del mondo come lo conosciamo. Il suo sguardo rimase sempre quello fantasioso del sognatore e dell’esteta: romantico e affascinato dai dettagli, ma anche critico, a tratti satirico o polemico, come dimostrava anche nei suoi articoli. Pur amando la bellezza del nostro mondo, della sua natura, Dunsany non riusciva ad accettare tutta la realtà così com’era, con le industrie e il capitalismo dilagante, con l’urbanizzazione spietata e sregolata, con un’umanità che si dirigeva pericolosamente verso nuovi totalitarismi, verso la bomba atomica e la distruzione della bellezza. Opere come Rory and Bran (1936) o My Talks With Dean Spanley (1936; dal romanzo è stato tratto un film, Dean Spanley, 2008, di Toa Fraser) esemplificano questo punto di vista inconsueto sulla realtà: la prospettiva sul mondo, in questi due casi, è quella dei cani. Ancora più originali sono le storie di Mr Jorkens, pubblicate su riviste e raccolte in cinque volumi tra il 1931 e il 1954. I racconti di un vecchio ubriacone in bilico tra la realtà e l’inverosimile, descrivono angoli del nostro mondo visitati dallo stesso Dunsany: le isole britanniche, il Sahara, il Nilo, l’India. Le vicende narrate però sono delle menzogne completamente incredibili, nonostante Jorkens insista nell’assicurare il contrario agli amici del club, al narratore e allo stesso pubblico di lettori complici.