l nostro bisogno di spiegare tutto è così forte che ci inventiamo sempre nuove spiegazioni, arbitrarie o chiaramente false, di questo o di quello ha scritto Edoardo Boncinelli nella raccolta di aforismi L’infinito in breve (pagine 37-38). Boncinelli sta puntando il dito contro tutte quelle spiegazioni irrazionali, superstiziose, metafisiche o religiose che le persone tendono a darsi, e spesso a dare agli altri, quando non sono in grado di spiegare correttamente un qualsiasi fenomeno. A volte consapevolmente, a volte inconsapevolmente, inventano.

Boncinelli si dimostra molto critico nei confronti di qualsiasi spiegazione che non abbia fondamenta scientifiche e che non si sviluppi attraverso un metodo scientifico, atteggiamento naturale per una persona la cui vita è indissolubilmente legata agli studi scientifici. Già nell’introduzione al volumetto (pag. 10) aveva scritto che non esiste qualcuno che analizza a fondo e con mente sgombra di idee preconcette qualcosa perché, nota, siamo tutti così condizionati da preconcetti o dal desiderio di ottenere approvazione da accantonare le nostra capacità razionali e adeguarci a pensieri pensati da altri, senza fermarci a chiederci se siano giusti o sbagliati. La conseguenza è che la logica e la scientificità a lui tanto care finiscono per scomparire.

Spiace vedere che anche una persona ben conscia dei pericoli costituiti dai pregiudizi e dalla poca conoscenza di un determinato argomento abbia finito con il restare intrappolata in entrambe le situazioni, ancor più perché, seguendo un’altra delle sue massime, Libertà di parola non significa obbligo di parola. Se uno non ha niente da dire può anche stare zitto (pag. 93). Per quanto Boncinelli, come tutti, abbia diritto alla propria opinione, se non ha niente di costruttivo da dire può anche stare zitto. Chi inventa spiegazioni che non hanno fondamento su argomenti che non conosce non sta semplicemente esprimendo la sua opinione, e la cosa è ancor più grave quando a portare avanti discorsi infondati è una persona fiera della propria razionalità, che ha un’autorevolezza tale da poter influenzare altre persone e che lo fa da un luogo che conferisce alle sue parole un notevole peso.

L'articolo di Edoardo Boncinelli

Il 25 giugno 2017 La lettura, un settimanale culturale di importanza nazionale e non quindi un qualsiasi giornaletto di paese, ha pubblicato un articolo del professor Boncinelli, scienziato dal curriculum notevole, intitolato Contro il fantasy. L’articolo non è piaciuto a chi invece apprezza il genere, ma i gusti non si discutono. Quello che invece non si può accettare è quando una persona dotata di autorevolezza attacca qualcun altro sulla base di pregiudizi personali, usando motivazioni inconsistenti e mostrando di non conoscere l’argomento di cui sta parlando.

Barbapapà di Annette Tison e Talus Taylor. Nato come serie di fumetti, il personaggio ha dato vita a un cartone animato e a una serie di libri) per bambini. La storia non è realistica anche se al suo interno non si usa la magia
Barbapapà di Annette Tison e Talus Taylor. Nato come serie di fumetti, il personaggio ha dato vita a un cartone animato e a una serie di libri) per bambini. La storia non è realistica anche se al suo interno non si usa la magia

Nelle prime righe dell’articolo Boncinelli cita genericamente film e serie televisive di una quindicina di anni fa, ma senza una menzione di nessuna di queste opere è impossibile sapere se si tratti di prodotti validi o di opere di scarso se non nessun valore culturale e/o d’intrattenimento. In tempi più recenti si riferisce a programmi per i più giovani o addirittura per i bambini piccoli, anche qui senza citare esplicitamente nessun’opera, dimenticando che le opere per bambini e quelle per adulti, pur se appartenenti allo stesso genere, sono molto diverse perché diversi sono i pubblici di riferimento. Vista l’assenza di riferimenti non posso sapere con certezza cosa abbia visto lo scienziato, ma se per caso ha giudicato con criteri da adulti opere destinate a bambini piccoli non può non averle trovate infantili. La pecca, se questo è stato il caso, non è delle opere ma di chi le ha valutate con criteri errati.

Lanciare un sortilegio, prosegue Boncinelli, è prassi assai diffusa e quasi di ordinaria amministrazione in film, telefilm, libri, racconti, fumetti e giochi elettronici, come pure in giochi di ruolo, anche se non conosco nessuno che nella vita lo faccia veramente. Sarà pure prassi diffusa, ma lo scienziato non cita una sola opera a sostegno di quest’affermazione. Nel rispondergli io parlo di letteratura perché è la letteratura ciò che conosco meglio, e se la magia è effettivamente uno degli elementi che costituiscono un romanzo fantasy, non è l’unico elemento e non sempre è presente.

Se pensiamo all’opera più famosa degli ultimi anni, Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, alcuni elementi magici sono presenti in tutta la saga, a partire dal prologo del primo romanzo in cui compaiono alcune creature fantastiche, ma per avere il primo sortilegio bisogna aspettare il secondo romanzo, perché nel primo non c’è neanche uno. E anche dal secondo romanzo in poi non è che i maghi abbondino, sono anzi piuttosto rari, i loro incantesimi ancora più rari e in genere mostrati solo nel loro esito e non nello svolgimento, mentre la storia è giocata più su intrighi politici, battaglie campali e tradimenti che su qualsiasi altra cosa. In due sole occasioni i comandanti dell’esercito nemico vengono uccisi a tradimento da un unico mago, e da nessuna parte viene utilizzato alcun tipo di superpotere, men che meno di super-superpotere, per neutralizzare gli avversari. Un discorso analogo è valido per la Saga dei Lungavista di Robin Hobb, per la Saga dei Drenai di David Gemmell, per gran parte dei romanzi di Guy Gavriel Kay o per una delle più famose saghe per ragazzi dell’ultimo decennio, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo di Rick Riordan. L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, ma non credo sia necessario citare tutte le opere prive o quasi prive di maghi per dire che non tutti i romanzi fantasy sono pieni di personaggi che vanno in giro combattendo a suon di incantesimi. Quando maghi e magia non sono necessari alla storia gli scrittori non li inseriscono.

Se affermare che in un fantasy tutto è magia o viene spiegato con la magia o con un incantesimo dimostra da parte di Boncinelli una scarsa conoscenza del genere – e ci sta, nessuno può sapere tutto, ma una persona che sa di non sapere dovrebbe astenersi dallo spiegare ciò che non sa ad altre persone – l’affermazione che lui non conosce nessuno che, nella vita reale, lanci davvero un incantesimo, è una presa in giro di tutti coloro che sono appassionati di fantasy. Esiste una differenza fra realtà e finzione, come qualsiasi persona di buon senso sa. Già molti anni fa un professore di Oxford che Boncinelli ha mostrato quanto meno di aver sentito nominare, J.R.R. Tolkien, parlando della creazione di un mondo fantastico aveva spiegato che lo scrittore costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è «vero»: in quanto in accordo con le leggi di quel mondo. Quindi ci crediamo, finché, per così dire, restiamo al suo interno (1).

Il punto fondamentale è che i lettori credono a quelle storie, alla realtà di quel mondo, finché restano al loro interno. Quando io leggo un libro faccio finta, per la durata della lettura, che quello che accade al suo interno sia vero, questo almeno se l’autore è stato capace di costruire un mondo coerente, d’inserirvi personaggi credibili e di mantenere la finzione narrativa pagina dopo pagina. Faccio finta, così come i bambini dicono “facciamo finta che…”, prima di iniziare un gioco d’immedesimazione. I bambini non hanno problemi a distinguere fra realtà e finzione, e se loro non ce l’hanno non si capisce perché diventando adulti dovrebbero perdere questa capacità.

Daniel Radcliffe e Emma Watson sull'espresso per Hogwarts in Harry Potter e la pietra filosofale nella scena in cui per la prima volta lei ripara gli occhiali di lui.
Daniel Radcliffe e Emma Watson sull'espresso per Hogwarts in Harry Potter e la pietra filosofale nella scena in cui per la prima volta lei ripara gli occhiali di lui.

Io posso anche scherzare con i miei amici dicendo che l’incantesimo oculos reparo usato più volte nei film da Hermione Granger per riparare gli occhiali di Harry Potter sia utile e faccia risparmiare un bel po’ di soldi, ma quando mi si sono davvero rotti gli occhiali per rimediare al problema non ho esitato ad andare da un ottico. Porto avanti la mia vita fatta di famiglia (un marito e due bambine di dieci e otto anni), lavoro (sono libraia), casa e interessi personali senza pensare che la magia esista, non al di fuori dei libri che leggo. E lo stesso fanno tutte le persone che conosco che hanno gusti simili ai miei, e fra loro ci sono, fra gli altri, avvocati, dottori, insegnanti, ingegneri, fisici, informatici, ricercatori scientifici e pure un pilota di jet. E se non posso usare la magia per risolvere i miei problemi – non mi sogno neppure di farlo – non posso usare neppure la tecnologia della fantascienza. Il prefisso fanta- che compare nella parola fantascienza indica che non si tratta di scienza reale ma di scienza fantastica, perciò se ho bisogno di spostarmi da un luogo a un altro il teletrasporto di Star Trek è altrettanto inutile delle passaporte utilizzate da Harry Potter. Nella vita reale nessuno usa la magia come nessuno usa la scienza della fantascienza.

Un po' di storia del fantasy

Boncinelli prosegue il suo articolo affermando che il fantasy è nato negli Stati Uniti a tempi della Prima guerra mondiale. Con questo sceglie d’ignorare tutta l’epica antica ricca di magia e di elementi soprannaturali che tanti spunti ha fornito agli autori moderni, e se anche si potrebbe obiettare che gli antichi credevano davvero nella realtà di quel che narravano, venendo a tempi più moderni non si può credere che Ludovico Ariosto pensasse davvero che Astolfo fosse andato sulla Luna per recuperare il senno di Orlando, o che William Shakespeare fosse convinto che Amleto avesse parlato con lo spettro del padre. Venendo a tempi più recenti George MacDonald, le cui opere hanno influenzato, fra gli altri, J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, era scozzese ed è stato attivo nella seconda metà del XIX secolo, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie dell’inglese Lewis Carroll è del 1875, Le avventure di Pinocchio dell’italiano Carlo Collodi hanno iniziato a essere pubblicate in una rivista nel 1881, Mark Twain era sì statunitense ma il suo Un americano del Connecticut alla corte di Re Artù è del 1889, Il ritratto di Dorian Gray dell’irlandese Oscar Wilde è del 1890, Notizie da nessun luogo e La fonte ai confini del mondo dell’inglese William Morris sono rispettivamente del 1890 e del 1896. L. Frank Baum era statunitense, ma Il meraviglioso mago di Oz, primo libro di una lunga serie, è del 1900, Lord Dunsany, attivo per tutta la prima metà del XX secolo con opere quali Gli dei di Pegana (1905), La spada di Welleran (1908) e La figlia del re degli elfi (1924) era inglese, mentre era scozzese James M. Barrie, creatore di Peter Pan (il primo romanzo in cui compare il personaggio, Peter Pan nei giardini di Kensington, è del 1906).

Al tempo della Prima guerra mondiale si situa La metamorfosi (1915) di Franz Kafka, ma l’autore era praghese. Chi si avvicina di più alle indicazioni nazionali e temporali date da Boncinelli è lo statunitense Edgar Rice Burroughs, che nel 1912 ha pubblicato sia il romanzo fantastico-avventuroso Tarzan delle scimmie che Sotto le lune di Marte, primo romanzo del ciclo John Carter di Marte, commistione fra il genere fantastico e quello fantascientifico. Un po’ poco per affermare che il fantasy sia nato in quel luogo e in quel tempo.

Non che non ci siano stato scrittori statunitensi, H.P. Lovecraft, Clark Ashton Smith, Robert E. Howard e C.L. Moore hanno tutti lasciato un segno nel fantasy successivo, ma non sono stati loro a creare il genere, già in evoluzione nel periodo della loro attività, e attivi in un arco temporale successivo rispetto a quello indicato da Boncinelli. Lovecraft ha pubblicato tanto il suo primo romanzo, La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, quanto Il richiamo di Cthulhu, racconto con cui ha iniziato il Ciclo di Cthulhu, nel 1926, Ashton Smith si è dedicato alle storie dell’orrore solo nel decennio compreso fra il 1926 e il 1935, Howard ha iniziato a pubblicare le sue storie nel 1925 e solo nel 1929 e nel 1932 nelle riviste sono apparsi prima Kull di Valusia e poi Conan in cimmero, la Moore ha esordito come scrittore, celando il fatto di essere una donna, nel 1933. Contemporaneamente a loro ha pubblicato le sue opere l’inglese E.R. Edddison, con Il serpente Ouroboros che è giunto nelle librerie nel 1922. Altra opera fondamentale per il fantasy è stata Lo Hobbit dell’inglese J.R.R. Tolkien (1937), ma con questo romanzo iniziamo ad allontanarci un po’ troppo dagli anni della Prima guerra mondiale, e ancora di più ci allontaniamo dal periodo indicato con Il signore degli anelli (1954-55), senza dubbio l’opera che ha maggiormente influenzato il genere. Più o meno contemporanei a Tolkien vi sono diversi autori britannici: T.H. White, che nel 1938 con La spada nella roccia ha iniziato la saga Re in eterno, Mervin Peake, il cui Tito di Gormenghast, primo romanzo di una trilogia, è del 1946, C.S. Lewis, che ha iniziato a narrare le storie di Narnia con Il leone, la strega e l’armadio nel 1950, e Alan Garner, la cui Pietra magica di Brisingamen è del 1960.

Uno sguardo al contenuto

Una scena di battaglia nella serie televisiva Il trono di spade, basata su Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin
Una scena di battaglia nella serie televisiva Il trono di spade, basata su Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin

Dato un arco geografico-temporale errato perché troppo ristretto sia nel tempo che nello spazio, e che non tiene conto di numerosi autori fondamentali, Boncinelli prova a spiegare il genere facendo un guazzabuglio fra i temi e le situazioni presenti in parte delle opere e le sue convinzioni personali. Il risultato è di sminuire i primi distorcendoli attraverso lo sguardo non imparziale delle seconde in un brano che, lungi dall’avere la chiarezza scientifica da lui auspicata, ha il tono di una visione onirica. Se lo scienziato avesse provato a leggere quelle opere che evidentemente non conosce si sarebbe accorto che le forze imponderabili scarseggiano – a volte gli avversari dei protagonisti sembrano disporre di forze soverchianti, ma soverchiante è ben diverso da imponderabile – e che il destino che può essere ribaltato solo da pochi eletti è caratteristica di uno dei sottogeneri del fantasy, il fantasy epico, ma che le storie fantasy possono essere declinate in un’infinità di altre accezioni. Quanto al particolare tipo di tirocinio che caratterizzerebbe il fantasy, basta un minimo di osservazione per notare che, con le dovute varianti, si tratta di un percorso presente in tutte le storie di formazione anche con azioni che in un primo momento possono apparire prive di senso.

Un esempio famoso si trova nel film del 1984 The Karate Kid, in cui Pat Morita assegnava al suo giovane allievo Ralph Macchio l’incarico di lavare le macchine. Dai la cera, togli la cera, diceva, mimando il gesto e sottolineando l’importanza della respirazione, e solo più avanti nella storia si sarebbe capito che quel lavoro aveva insegnato al giovane a muoversi correttamente in modo da sferrare colpi efficaci.

Un tirocinio particolare, in un film che non è fantasy ma che è incentrato sulla crescita e sulle arti marziali, e del resto anche gli astronauti possono dover compiere tirocini molto particolari, come nel caso del protagonista del romanzo fantascientifico di Orson Scott Card Il gioco di Ender.

Fra le scarse conoscenze di Boncinelli sembra esserci anche quella della mitologia greca, perché indicare come unica fonte d’ispirazione le saghe nordiche con tutte le loro creature significa dimenticare figure come le maghe Circe e Medea, i giganti Alcioneo, Porfirione e i loro fratelli, ma anche profetesse, indovini, dei e creature di varia natura. Di fatto tutta la mitologia, non solo quella nordica, e non solo quella occidentale, è stata di volta in volta fonte d’ispirazione degli scrittori fantasy, così come lo sono stati e lo sono ancora l’epica, il teatro, o anche la storia e la scienza.

La copertina dell'edizione americana dell'ebook di The Great Hunt (La grande caccia) di Robert Jordan. In primo piano uno dei molti tipi di Trolloc, creato in questo caso dalla manipolazione genetica di esseri umani e lupi.
La copertina dell'edizione americana dell'ebook di The Great Hunt (La grande caccia) di Robert Jordan. In primo piano uno dei molti tipi di Trolloc, creato in questo caso dalla manipolazione genetica di esseri umani e lupi.

L’affermazione che nelle storie fantasy tutto, assolutamente tutto, è magia e sortilegio, ovvero proprio il contrario della scienza, oltre a essere errata – esistono storie fantasy in cui gli elementi magici di qualsiasi tipo sono praticamente assenti – è tale da ritorcersi contro colui che l’ha scritta.

In La Ruota del Tempo di Robert Jordan, una saga epica in cui l’eroe predestinato tanto aborrito da Boncinelli deve affrontare l’Oscuro Signore di turno e le magie sono all’ordine del giorno, fra i servitori del Tenebroso vi sono i Trolloc. Si tratta di esseri parzialmente umani votati al male e dotati di una caratteristica ben precisa: non sono esseri naturali. Sono stati creati in laboratorio con la tecnologia genetica.

Se da queste premesse traiamo un sillogismo possiamo affermare che, dato che nel fantasy tutto è magia, e che i Trolloc sono creature fantasy create attraverso l’ingegneria genetica, allora l’ingegneria genetica non è altro che magia. L’unico modo per negare l’ultima frase è riconoscere che una delle prime due proposizioni dichiarative del sillogismo sia errata, e visto che Jordan ha esplicitamente affermato che i suoi Trolloc sono stati creati con l’ingegneria genetica, l’affermazione errata dev’essere l’altra.

Nel fantasy non tutto è magia, come non tutto è il contrario della scienza. Quanto al crescendo di inverosimiglianza, questo c’è solo in quelle opere in cui l’autore non è stato capace di rimanere coerente alle sue premesse. Un’opera non è verosimile in quanto aderente alla nostra realtà ma in quanto coerente con sé stessa, come sottolineato da Emanuele Manco in Vero e Verosimile, una riflessione.

Vero e verosimile, una riflessione

Vero e verosimile, una riflessione

Articolo di Emanuele Manco Martedì, 24 maggio 2016

"Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia." William Shakespeare, Amleto atto I, scena V

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Fra evasione e fuga dalla realtà

Più che notare che parole tanto in voga come “relax” e “stress” non significano quasi niente, Boncinelli farebbe bene a interrogarsi sul significato e sulla profondità di quel che ha scritto lui. L’evasione e il disimpegno in sé non sono cose negative, come ha rilevato molti anni fa il professor Tolkien: In quella che ama chiamare Vita Reale chi usa il termine «Evasione», questa chiaramente, di regola, è molto positiva e può essere persino eroica. Nella vita reale è difficile biasimarla, a meno che non fallisca; nella critica, sembra che sia tanto peggiore quanto più è riuscita. Evidentemente, abbiamo a che fare con un cattivo uso di termini, e anche con una confusione di idee. Perché mai un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e di tornarsene a casa? O se, non potendolo fare, pensa e parla di argomenti diversi dai carcerieri e dai muri della prigione? Il mondo esterno non è divenuto meno reale per il fatto che il prigioniero non possa vederlo. Utilizzando «Evasione» in questo modo, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, quel che è peggio, stanno confondendo, e non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore (2).

L’evasione non è negativa in sé e spesso è un semplice momento di relax all’interno di una vita fatta di preoccupazioni molto concrete, ma l’evasione non è l’unica cosa che si trova nella narrativa fantasy. Diversi anni fa ho scritto un articolo in cui mostravo come il tema della Shoah fosse stato trattato nelle saghe La guerra dei regni di Harry Turledove e La Ruota del Tempo di Robert Jordan, e sottolineavo come altri autori inserissero deliberatamente nelle loro opere temi e situazioni tali da spingere il lettore alla riflessione, che fossero il razzismo, l’intolleranza religiosa, l’alcolismo e la guerra citati da Margaret Weis o i fanatismi presenti nelle opere di Terry Goodkind e J.K. Rowling, con quest’ultima che si è spinta a mostrare un controllo dell’informazione e a creare una Commissione per in censimento dei Nati Babbani che non possono non destare sentimenti inquietanti in chiunque conosca anche solo superficialmente la storia del ‘900.

27 gennaio, il Giorno della Memoria

27 gennaio, il Giorno della Memoria

Articolo di Martina Frammartino Mercoledì, 27 gennaio 2010

Il mondo si ferma un giorno a riflettere per ricordare l'Olocausto. Documentari, memorie e studi su quanto è avvenuto cercano di raccontare e di comprendere l'inimmaginabile. E anche la narrativa può fare la sua parte. Da Harry Turtledove a J.K Rowling e Robert Jordan, anche la fantasy può in qualche modo raccogliere il testimone da Primo Levi.

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Qualsiasi tema trattato dalla letteratura mainstream può entrare in un romanzo fantasy, e se lo scrittore è abile può ottenere effetti molto forti perché, tolto dal contesto che rende il singolo episodio avvenuto in un ben preciso tempo ad alcune precise persone, si universalizza e arriva a parlare a ciascuno di noi. Lo ha spiegato molto bene Guy Gavriel Kay in una conferenza intitolata Home and Away la cui trascrizione si trova sul sito ufficiale dello stesso, e concretamente lo ha dimostrato con i suoi romanzi.

In The Lions of Al-Rassan i protagonisti sono tre, due uomini e una donna, e non è difficile collegare le rispettive religioni inventate con le tre principali religioni monoteiste che tutti noi conosciamo. Il lettore ha modo di affezionarsi a ciascuno dei personaggi, e quando la loro fede arriverà a intromettersi nei rapporti personali susciterà nel lettore interrogativi drammaticamente attuali. In L’ultimo orco Silvana De Mari mostra cosa sia lo stupro etnico, mentre sul puro dolore dello stupro e sulla difficoltà di comunicare con gli altri si sono concentrati George R. R. Martin nel racconto I ritratti dei suoi bambini contenuto nell’antologia I canti del sogno. Volume secondo e Robin Hobb in La nave del destino.

Questi non sono gli unici temi importanti trattati dalle opere che ho citato, così come queste opere non sono le uniche che si occupano di temi importanti, ma per una disamina approfondita non basterebbe un intero volume. Chi conosce il genere sa che i temi importanti ci sono, e se forse in questi libri non si parla della curvatura dello spazio-tempo – anche se ci sarebbe da discutere riguardo al modo in cui i personaggi di David Gemmell si spostano nel tempo e nello spazio attraverso mondi paralleli, e su alcuni aspetti del tempo nella saga di Robert Jordan che, guarda caso, era un fisico nucleare – neppure per apprezzare la maggior parte dei romanzi di fantascienza è necessaria una conoscenza scientifica da parte del lettore. Ciò che è sufficiente è la semplice accettazione di quanto affermato dallo scrittore.

George Clooney in E.R. Medici in prima linea.
George Clooney in E.R. Medici in prima linea.

Se la comprensione del funzionamento di determinati meccanismi fosse davvero necessaria al godimento di un romanzo non ne potremmo apprezzare nessuno, perché ogni romanzo parla di cose che vanno al di là della nostra conoscenza. Non sapere come funziona il motore di un’automobile non ha mai impedito a nessuno di noi di guidarne una, così come di accettare che possano guidarne una i personaggi di una finzione, e non sapere nulla di medicina non ci impedisce di apprezzare opere in cui uno dei personaggi è un chirurgo mostrato nell’atto di svolgere il suo lavoro. Non abbiamo bisogno di capire, ci limitiamo ad accettare che all’interno della narrativa queste situazioni siano verosimili. Se per Boncinelli la magia non è verosimile, si tratta di una semplice limitazione della sua fantasia, non del genere a cui appartiene una particolare opera. Se la narrazione è ben costruita l’autore ha posto precisi limiti a ciò che la magia può e non può fare e ai modi in cui viene praticata e vi si attiene rigorosamente, pena la perdita della volontaria sospensione d’incredulità da parte del lettore.

Dov'è la realtà?

Non entro neppure nel merito del rapporto fra Illuminismo e Romanticismo, liquidato da Boncinelli con una notevole superficialità, mi limito a suggerirgli la lettura di qualche saggio di storia e di letteratura di sua scelta fra i numerosissimi realizzati dai nostri accademici.

Esistono anche saggi – più in inglese che in italiano, ma ne sono stati pubblicati diversi anche nella nostra lingua – che approfondiscono determinati aspetti della narrativa fantastica, in qualche caso anche mostrando come le invenzioni degli scrittori possano avere un loro fondamento nella realtà, temo però che per la lettura di questi libri Boncinelli non sia ancora pronto.

Quello che non posso accettare è l’assimilazione della narrativa fantastica al culto delle reliquie dei santi, al ricorso alle medicine alternative o al dilagare del complottismo. Su quali basi Boncinelli mette insieme cose tanto diverse? Esistono studi scientifici in proposito? Se Boncinelli non è in grado di indicarne forse farebbe bene a evitare di presentare quella che è soltanto una sua convinzione come se fosse una realtà incontrovertibile.

Leggere narrativa fantastica, sapendo che è narrativa fantastica, è cosa ben diversa dal vedere il fantasy nella realtà, e accettare che in un romanzo possano essere effettuate guarigioni grazie all’uso della magia non significa che poi quello stesso lettore di fantasy che si è divertito con un romanzo si rechi da un ciarlatano di qualsiasi tipo quando in ballo c’è la sua salute. Sarebbe bello se quella razionalità e quell’equilibrio di giudizio auspicati da Boncinelli nella chiusura del suo articolo fossero maggiormente diffusi fra le persone, a partire proprio da colui che in un articolo superficiale e troppo spesso errato ne ha sottolineato la necessità.

Note

1) J.R.R. TOLKIEN, On Fairy Stories, Oxford University Press, Oxford, 1947, trad.it. Sulle fiabe, in Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano, 2004, pag. 197.

2) J.R.R. Tolkien, op.cit., pag. 218.