Nel 2011 nel tentativo di incuriosire spettatori solitamente poco interessati al genere fantasy David Benioff aveva affermato che Il trono di spade era “I Soprano ambientato nella Terra di Mezzo”. Una forzatura, ovvio, ma che contiene un nocciolo di verità: la storia, basata sul romanzo A Game of Thrones di George R.R. Martin, è sì ambientata in un universo fantastico nel quale vivono – o sono vissute – creature immaginarie come i draghi e altri esseri misteriosi ancora più temibili, ma prima di tutto è una storia di persone. Il nucleo fondamentale della trama è costituito dai protagonisti con le loro passioni e le loro storie intrecciate di amori e rivalità, con conflitti nella lotta per il potere e un uso spietato di qualunque mezzo abbiano a disposizione.

La risposta del pubblico, che ha seguito con un entusiasmo crescente le tre stagioni che sono state fino a ora realizzate e che ha spedito i romanzi delle Cronache del ghiaccio e del fuoco in cima alle classifiche di vendita, dimostra che Benioff aveva ragione e che la storia narrata da Martin, dal suo co-produttore D.B. Weiss e da lui stesso ha raggiunto un pubblico ben più vasto di quello tradizionale del genere fantasy.

Questa è, per ripetere uno dei tanti slogan promozionali che abbiamo sentito in questi anni, una storia fantasy per chi non ama il fantasy. Può essere un passo importante per una maggiore considerazione del genere da parte di chi ha sempre ritenuto i generi come una forma espressiva inferiore rispetto al mainstream, ma è vero anche che questa è una storia che sta spostando i confini del genere stesso.

Il fantasy: le caratteristiche di un genere

Qual è quella caratteristica che ci fa dire che una determinata opera appartiene al genere fantasy? Non è una domanda facile, anche se tutti siamo in grado di elencare senza problemi un buon numero di opere e di autori che vi appartengono di diritto. John Grant e Ron Tiner, che hanno redatto la relativa voce nell'Encyclopedia of Fantasy (1), hanno spiegato come nessuna definizione sia soddisfacente, e che anche il contrasto con il realismo non sia così indiscutibile visto che ciascuna epoca o cultura ritiene realistiche cose diverse.

Non solo, definire come prettamente fantasy le opere di scrittori come Jorge Luis Borges, Julio Cortazar, Gabriel Garcia Marquez o degli altri autori appartenenti al Realismo magico, filone nel quale alcuni elementi magici vengono inseriti in un contesto per il resto perfettamente realistico, sarebbe una forzatura che renderebbe inutile ogni tentativo di distinguere il genere dal resto della letteratura.

Più semplice, anche se non esaustivo, è definire il genere in base alla presenza di alcuni elementi che lo contraddistinguono, primo fra tutti l'ambientazione della storia in un mondo secondario (2). La Terra di Mezzo descritta da J.R.R. Tolkien non è meno viva dei personaggi che la abitano. E, dall'immaginaria Narnia di C.S. Lewis al mondo di Shannara di Terry Brooks, dall'arcipelago di Earthsea di Ursula K. Le Guin al mondo di Roshar di Brandon Sanderson, uno dei principali impegni degli scrittori è stato quello di costruire un mondo favoloso e affascinante dotato di una propria storia, di regole ben precise sull'utilizzo della magia e spesso abitato da razze fantastiche.

Una delle saghe più importanti degli ultimi anni è quella della Ruota del Tempo di Robert Jordan. Ciascuno dei quattordici romanzi che la compongono inizia con le stesse frasi: “La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l'Epoca che lo vide nascere. In un'Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, 'un'Epoca ancora a venire, un'Epoca da gran tempo trascorsa', il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l'inizio. Non c'è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.” (3)

L'inizio ha un tono epico, porta immediatamente il lettore in un altro tempo e in un altro luogo, un po' come il “c'era una volta” delle fiabe, opere che tanto hanno in comune con la fantasy. È l'ingresso nel mondo secondario.

“Inizi del genere”, spiega Bruno Bettelheim (4), “suggeriscono che quanto segue non si riferisce al luogo e all'epoca che noi conosciamo. Quest'indeterminatezza voluta all'inizio delle fiabe simboleggia che stiamo per lasciare il mondo concreto della realtà di tutti i giorni. Antichi manieri, oscure caverne, stanze chiuse a cui è vietato l'accesso, foreste impenetrabili, suggeriscono tutti che qualcosa che di regola è nascosto verrà rivelato, mentre la frase “tanto tempo fa” indica che saremo portati a conoscenza di fatti quanto mai remoti”. Fatti remoti che parlano di noi, del nostro tempo e dei nostri sogni perché “si occupano di problemi umani universali” (5). E, come il bambino si identifica nel protagonista della fiaba, l'adulto può ritrovare la propria storia – o una storia che per lui ha una profonda risonanza – in un mondo inventato.