1. Carruggi

Puzza di pesce, odore di piscio. Odore di carruggi, puzza di Genova.

Goffredo tolse il dito dalla narice e guardò il risultato delle sue ricerche. Un grumo di muco filamentoso ricopriva il suo indice a far da cornice all’unghia troppo lunga, increspata da una riga di nera sporcizia.

Si inerpicava per Vico Casana quando un profumo inconfondibile fece gorgogliare il suo stomaco e facendogli dimenticare la sottile inquietudine che lo attanagliava dalla sera prima.

Entrò nell’angusto panificio sorridendo agli sguardi schifati dei clienti. Costrinse tutti a spostarsi per far posto al suo corpaccione di oltre centoventi chili per quasi due metri.

Della decina che, pigiati, lo precedevano nella coda, un paio si defilarono nauseati dopo pochi minuti. Chiunque l’avrebbe preso come una specie di affronto, lui lo accolse come un indiscutibile privilegio.

- ’Sto qui si è scordato come è fatto un pezzo di sapone – sentì mormorare davanti a sé.

Qualche risolino non mutò l’espressione gioviale del suo volto. Si era abituato a quelle battute poco originali.

- Me ne dia tre euro di quella con le cipolle – sentenziò con voce rauca quando arrivò il proprio turno – non serve la carta, me la faccio fuori subito, finché è calda.

Il panettiere rimase un attimo interdetto ma porse i pezzi fumanti di focaccia senza involucro a quel cliente ripugnante. Interloquire con lui ne avrebbe solo prolungato la permanenza in negozio incrementando, di conseguenza, la probabilità di perdere clienti.

Goffredo rovistò nella tasca dei pantaloni, ne tirò fuori un paio di involucri stropicciati di chewing gum. Passò alla sua fidata giacca da motociclista che usava tutto l’anno, niente da fare. Eppure stamattina lo aveva visto, quel biglietto da cinque euro.

Il panettiere era sempre lì, con la mano tesa che stringeva le tre strisce colanti olio dorato, lo sguardo sempre meno convinto. Ogni tanto capita, la giornata storta, pareva pensare.

- Allora? C’è gente che deve andare a lavorare, qui! Non siamo mica alla Caritas!

Se avevano intenzione di offenderlo, avrebbero dovuto impegnarsi un pochino di più. Come se non avesse sentito alcunché, Goffredo continuò a frugare nelle proprie tasche, fino a quando trovò, appallottolata insieme a un foglietto di appunti, una banconota da cinque euro.

La posò sul bancone come fosse una pergamena antica, lisciandola soddisfatto. Lo sbuffo del panettiere la fece quasi scivolare via.

Proprio mentre Goffredo abbrancava soddisfatto i suoi tre pezzi di focaccia, una musica dolce dall’incedere malinconico invase il negozio.

Chi avesse avuto una qualche reminiscenza della musica di vent’anni prima avrebbe riconosciuto la batteria marziale e il riverbero triste dell’attacco di “Pictures of you” dei Cure.

Quasi tutte le mani libere dei clienti del negozio si portarono verso le tasche dei rispettivi cellulari con un riflesso condizionato. Tutti tranne uno sapevano che quella non era la suoneria del proprio smartphone, ma l’istinto di controllare se per qualche strano sconvolgimento astrale il telefonino avesse per caso lasciato la propria tasca oppure modificato magicamente la melodia che avevano scelto come standard in un annoiato pomeriggio di mezza estate prese il sopravvento.

Cullato da quella canzone che gli ricordava momenti che non sarebbero tornati mai più, Goffredo ripose i pezzi di focaccia nella tasca anteriore del giaccone come se fossero una rivista già letta e infilò la mano destra nella tasca interna, estraendone il telefono.

Il Nexus diffuse ancora più chiaramente l’atmosfera dark del pezzo in attesa che Robert Smith cominciasse a cantare di ricordi e di fotografie ormai scomparse nella memoria.

Goffredo lesse il nome sul display e, con il disappunto di chi deve interrompere un momento che avrebbe voluto prolungare, stoppò la musica per rispondere alla chiamata.

Prestando attenzione alla voce allarmata all’altro capo della comunicazione, uscì dal negozio, non facendo caso a chi lo richiamava da dentro.

- Ehi, il resto! Si è dimenticato il resto!

Era “il Capo”.

Non l’aveva sentito così allarmato dall’affare Lloyd-Talhud, quando trecento milioni di dollari parevano essere spariti nel nulla.

- Dove sei finito?

- Mi sto facendo un giretto qui sotto. È una bella giornata, fuori. Dovresti mettere il naso fuori dall’ufficio anche tu, qualche volta.

- So cosa vuol dire responsabilità, io. C’è un’emergenza, mi hanno chiamato dalla Diraf, pare che il Malese abbia colpito ancora.

- Finisco la mia pausa pranzo e arrivo.

- Il dottor Pesce mi ha detto che…

- Signor Responsabilità, ti pare che siano cose che si possano spiegare al telefono?

E Goffredo chiuse la comunicazione con uno sbuffo sorridente. Gli piaceva trattare male il capo. Non lo faceva con cattive intenzioni, voleva bene a quel pasticcione.