Prese la focaccia dalla tasca lurida e cominciò a ad assaporarne il morbido gusto oleoso. L’ufficio era poco lontano, ma Goffredo non aveva fretta, niente era più importante della sua pausa pranzo.

Saliva per lo stretto carruggio, concentrato sul rettangolo unto che addentava come un pescecane in un banco di aringhe, quando un profumo mai dimenticato lo distolse dalla sua preda.

Un odore forte gli penetrò le narici e scese giù fino allo stomaco, facendogli quasi rigurgitare il bolo. Non si fermò lì e, come una trivella alla ricerca della vena mineraria più malleabile, si insinuò nelle viscere, fino a insufflare un dolce calore nelle sue membra. Un calore a cui lui non sapeva dir di no.

Profumo di donna, odore di mussa.

Si girò di scatto e vide due gambe rapide scendere in bella mostra per il vicolo. E un culo. Anzi: il culo.

Mise la mano in tasca e sentì il frusciare rassicurante e inconfondibile delle banconote accartocciate. Le contò con le punta delle dita, senza estrarle dai rifiuti sabbiosi che affollavano gli antri puzzolenti sul davanti dei suoi pantaloni.

Sorrise.

Aveva tutto quello che serviva. Non c’era problema, avrebbe tardato una mezz’ora. Il capo avrebbe sbraitato qualche minuto in più.

Si lanciò all’inseguimento, incurante della folla che, all’improvviso, pareva contrastarlo.

La puttana procedeva a passo rapido sui sandali zeppati, ancheggiando come un pendolo che ipnotizzava il ventre dell’energumeno. Scendeva verso il porto, forse aveva là la sede lavorativa.

Poi, come un ratto che fiuta il pericolo, cambiò direzione, gettandosi verso destra.

Gli sfuggì dalla vista e, per un attimo, le viscere di Goffredo si ribellarono. Stavano già assaporando il gusto del sesso, agognando il momento della liberazione e questo era loro precluso, come una bottiglia che arriva vuota quando è il tuo turno.

Ma Goffredo era il tipo che sapeva perseverare.

Arrivò all’incrocio con il fiatone, lo sguardo perso nella marea di gente che gli impediva di trovare la soddisfazione.

Vedeva solo teste. E lui cercava un culo, o quantomeno un paio di gambe.

Annusò l’aria girando lentamente lo sguardo lungo tutta l’esigua larghezza del vicolo intasato. E, come un cane da tartufo, intuì che sotto quella criniera bicolore che ondeggiava a una decina di metri da lui c’era il tesoro, il nettare degli dei, il profumo che gli aveva fatto perdere la testa e ingrossare le membra.

La scorse dirigersi verso la zona della Maddalena e si lanciò al suo inseguimento come un delfino lungo la scia di una nave, evitando le onde delle persone che lo sbalzavano via dal suo obiettivo. Scontrò violentemente contro un ragazzo, facendogli cadere tutto l’armamentario che stava trasportando. Il tipo non bestemmiò unicamente perché era uno di quei mimi con la faccia pittata di bianco, e doveva in qualche modo continuare a recitare la propria parte.

Senza proferir parola come il ruolo gli richiedeva, il ragazzo gli si parò davanti, come attendendo delle scuse. Ma Goffredo non ci fece caso e cercò di scansarlo. Il mimo prese il gigante per un braccio, come a costringerlo a delle spiegazioni, ma Goffredo si divincolò non senza difficoltà e ricominciò l’inseguimento, incurante delle mute proteste dell’artista di strada.

Un fuggevole pensiero lo rallentò: se le era passate tutte, le puttane della Maddalena, e quel culo non era certo facile da dimenticare. Però il gigante non se lo ricordava affatto. Ma non era certo il momento per questi pensieri profondi dato che il sangue gli stava abbandonando il cervello per andare in zone meno nobili. Doveva sbrigarsi, senza perdere tempo in elucubrazioni.

E come era comparsa, la tipa parve sparire, inghiottita dal muro di una casa. Goffredo si mise a correre, ansimando come un toro da monta, solo per constatare che invece lei si era solo infilata in uno strettissimo pertugio, come una ferita tra due edifici. Goffredo fece lo stesso, sfregando il giubbotto lungo le pareti umide del vicolo. Pareva una specie di grotta, al cui fondo una luce indicava l’uscita.

Della puttana nessuna traccia, ma Goffredo non poteva lasciar perdere. Si fece avanti a fatica lungo il taglio tra i due edifici. Non si fece fermare dal tanfo di urina che cercava di erigere un muro tra la parte nota della città e un’altra parte, sconosciuta, misteriosa.

Ma quelle natiche erano un richiamo troppo potente per il cacciatore che c’era in Goffredo. Non si poteva curare del fatto che sarebbe potuto diventare la preda dei bui meandri della città.

Non se ne era mai preoccupato, tanto meno lo avrebbe fatto ora.

Sbucò in una piazzetta e si guardò intorno. Incrociò solo gli sguardi di ragazze annoiate e desiderose allo stesso tempo. Non parevano le solite che sorvegliavano la zona della Maddalena. Un brivido gli fece vibrare il cuoio capelluto.