Brandon Sanderson, classe 1970, ha esordito come autore dieci anni fa con il suo primo romanzo edito, Elantris. Da allora, ha pubblicato decine di romanzi e racconti, ottenendo un enorme successo. Sanderson affianca alla sua carriera di scrittore anche un’attività di didattica universitaria, tenendo un corso di scrittura creativa presso l’università BYU, negli Stati Uniti.

La possibilità di assistere a una delle sue lezioni, offerta dall’organizzazione degli Educational di Lucca Comics & Games 2016, ha attirato l’attenzione degli appassionati di fantasy italiani, che hanno gremito l’aula in cui si è svolta la lezione. Per chi non ha potuto partecipare, o per chi volesse approfondire gli argomenti su cui l’autore non ha potuto dilungarsi, segnaliamo la presenza del suo intero corso universitario su Youtube (ovviamente in lingua inglese).

Nel corso della lezione tenuta a Lucca, Domenica 30 Ottobre, Sanderson si è concentrato sull’organizzazione della trama, uno dei tre elementi, assieme ai personaggi e all’ambientazione,che creano il testo narrativo. Nonostante il focus sia sulla trama, nel corso delle due ore l’autore apre ampie digressioni agli altri due elementi, dato che la presenza di conflitto tra trama, personaggi e ambientazione è il nucleo della narrazione. Il conflitto, osserva Sanderson, deve sempre coinvolgere almeno due elementi tra questi: così, ne Il Signore degli Anelli, la necessità di gettare l’Anello nel Monte Fato è dato dallo scontro tra la trama e l’ambientazione, visto che tra Frodo e il suo obiettivo si stende un territorio del tutto sfavorevole alla realizzazione dell’impresa.

La trama: è così necessario scriverla?

Sanderson osserva che gli scrittori sono divisi, in generale, in due categorie principali: da un  lato i discovery writers, come George Martin o Stephen King, che scoprono la loro storia nel momento in cui la fanno procedere; dall’altro gli outline writers, come Orson Scott Cards, che hanno bisogno di strutturare la loro opera prima di scriverla. Per quanto, come osserva Sanderson, la giusta via stia sempre nel mezzo, è inutile forzare la propria natura di scrittori, cercando di passare da un blocco all’altro. Tuttavia, la sperimentazione, almeno parziale, dell’altro metodo può essere utile. L’esempio che Sanderson usa è tratto da una delle sue opere più famose: per la creazione della protagonista di Mistborn, Vin, l’autore (che si professa per natura outliner che deve sempre conoscere il “potente finale” della sua storia) ha utilizzato un metodo parziale di discovery, componendo, a titolo puramente esplorativo, un capitolo di prova di poche pagine, in cui ha provato ad attribuire al personaggio tre caratteri molto diversi. Infine, ha scelto l’alternativa con cui poteva creare più “conflitto” nella storia.

La scelta di applicare questo metodo per esplorare il carattere della sua protagonista parte da un’osservazione sulla qualità dei personaggi degli autori discovery e outline. Nel caso dei primi, i  personaggi sono più forti, più intensi, laddove i finali delle storie possono essere terribili. Al contrario, gli outiliner talvolta creano personaggi più piatti, pur riuscendo più convincenti nelle loro conclusioni.

La maggior parte degli autori, comunque, afferma Sanderson, sono discovery writers.

Come spiegare a chi non scrive una trama perché è utile ascoltare un corso sulla trama

Se dunque è più o meno semplice per un autore outliner trovare metodi per servirsi delle abilità dell’altra categoria, il passaggio inverso è un po’ più complicato. Ma Sanderson, che conosce l’argomento non solo in quanto scrittore, ma anche come docente universitario, ha diverse risposte a chi gli chiede come creare una trama pur non essendo abituato, o pur non trovandosi a proprio agio, a scriverla.

Il primo metodo che Sanderson suggerisce è il retrofit. In sostanza, si tratta di concludere la prima stesura del romanzo per poi trattare l’intera bozza come la trama composta da un outliner: a questo punto, è possibile spezzarla nelle sue parti costitutive e analizzare quali parti del plot così ottenuto funzionano meglio e dove, al contrario, si trovino i buchi della trama (per esempio, una promessa al lettore non mantenuta). La revisione consente quindi di applicare una struttura a una storia già conclusa.

Non aver paura a giudicare il tuo lavoro, consiglia Sanderson Una cosa da sapere della scrittura è che è permesso fare schifo (it’s okay to suck). Non puoi imparare a suonare uno strumento se prima, mentre studi, non fai schifo. Lo stesso avviene nella scrittura, ogni prima bozza non viene bene come dovrebbe.

Il secondo metodo, che Sanderson ben conosce perché è quello usato da Robert Jordan per la  sua Ruota del Tempo, è quello dei punti su una mappa. Jordan, che si definiva un autore discovery, aveva segnato alcuni punti importanti della trama, che si sarebbero svolti in luoghi ben specifici nella mappa. Non sapeva cosa sarebbe accaduto tra questi luoghi, quello lo scopriva di volta in volta, ma sapeva sempre dove arrivare grazie a questi punti cardine.

Come osserva Sanderson, questo approccio non è così diverso da quello di autori outliner, che a loro volta individuano dei momenti portanti della trama, senza appuntarsi nel dettaglio quello che accadrà in ogni momento: la differenza tra discovery e outliner sta, quindi, nella quantità di punti sulla mappa che inseriscono, ma, per quel che accade tra i diversi punti, tutti gli autori devono essere almeno in parte discovery.

Il terzo metodo, su cui Sanderson si dilunga per la sua semplicità, pur ammettendo di non usarlo, è il metodo dei Tre Atti. È il formato dei film hollywoodiani e delle trilogie, in cui la storia è spezzata in tre parti, divisi da due momenti di crisi, di cui uno posto poco dopo l’inizio e uno posto poco prima della fine. Dopo un primo atto introduttivo, in cui si presentano il setting e i personaggi principali, si apre la “prima crisi”, cioè un cambiamento drastico: la vita del protagonista è sconvolta in modo da non poter più tornare alle origini (per esempio, quanto le Stormtroopers uccidono gli zii di Luke in Star Wars). Segue il secondo atto, caratterizzato dal peggioramento della situazione, dal binomio Yes but e No and, in cui il personaggio cerca delle soluzioni, che comunque non sono conclusive, fino alla crisi finale, il punto in cui l’audience è convinta che il personaggio non abbia possibilità di scampo. Infine la conclusione, più o meno eroica, in cui il personaggio ottiene comunque una sua vittoria.

Perché le persone leggono?

Nella composizione di una buona trama, si deve tener conto di alcuni ingredienti: in primo luogo, un buon inizio, quello che gli anglosassoni chiamo “hook”, che agganci l’attenzione del lettore e lo induca a iniziare a leggere la storia. Ma questo non è sufficiente: lo scrittore deve capire perché i suoi lettori vogliono leggere proprio quella storia, quale risposta emotiva desiderano. Ogni libro deve contenere, nelle sue parti iniziali (di solito nel prologo) una promessa (promise), che deve poi essere rispettata alla fine del volume. Certo, questa promessa non deve svelare il finale o rovinarlo: può essere anche solo un’anticipazione di quale sarà il tono della storia (l’esempio che Sanderson cita è Il Trono di Spade, il cui primo capitolo si apre con l’esecuzione di uno dei protagonisti del prologo, che il lettore sa essere innocente).

Eppure, è necessario anche qualcosa che induca il lettore a girar pagina e a proseguire nella lettura, e questo è il ritmo (pace), che può essere, per esempio, l’azione, l’avventura che tenga con il fiato sospeso. Per creare il ritmo è essenziale che il lettore abbia la sensazione del progresso della storia, soprattutto in una delle direzioni previste dalla promessa al lettore. In questa parte, la creazione della storia si allarga per tener conto delle numerose sotto-trame, che possono andare dal mistero, alle relazioni e al cambiamento dei personaggi.

Sanderson elenca una serie di sotto-trame da lui utilizzate, osservando come in ogni capitolo sia importante inserire lo sviluppo di almeno una o due di esse. Solo per citarne alcune: mistery, (contribuisce al senso di progresso del romanzo), relationship, drama, ensemble, idea, wonder, adventure, horror, thriller, issue, humour.

Se però vogliamo che il lettore legga il nostro prossimo libro (di una serie, o anche un altro volume dello stesso autore), dobbiamo concludere la nostra storia in modo adeguato (è pay-off il termine che usa Sanderson), in particolare mantenendo la promessa iniziale ed evitando la noia di una storia che non progredisce.

Alla fine della lezione, una domanda sorge spontanea tra il pubblico: come è possibile gestire tutto il lavoro precedente alla creazione dell’opera? Sanderson rivela di avere un programma per computer che lo aiuta in questo procedimento. E finisce con un suggerimento per tutti gli aspiranti scrittori: quello che insegna più di ogni altra cosa a scrivere un libro è iniziarne uno e finirlo.

Scrivere una storia fino alla fine è più utile di qualsiasi lezione sull’argomento. Afferma Sanderson, e conclude così: Non vi sto dicendo di fare quello che ho detto. Solo, conoscete le regole, e così potete permettervi di infrangerle.