Fata Mysella era distesa su una lastra di granito. Sentì il freddo della pietra entrarle nel corpo indolenzito. Con le dita accompagnò i contorni delle lettere incise sulla lastra.

Aprì gli occhi. Nella fiocca luce distinse sul soffitto un affresco sbiadito. Anime tormentate dalle fiamme dell'inferno e sorvegliate da demoni. In un angolo, un grosso demonio inseguiva un'anima fuggitiva. Le sembrò che qualcuno avesse aggiunto con un gessetto un paio d'ali all'anima in fuga.

Si alzò a sedere e scrollò le ali. Si trovava all'interno di una piccola cappella. La lastra sulla quale si trovava era il coperchio di una vecchia tomba. Un po' di luce filtrava tra le assi di legno che coprivano le finestre.

Controllò di essere arrivata tutta intera. Il corpo era intatto. Il sacchetto con il denaro era nascosto in una piega della sua lunga gonna a strati. Indossava una maglietta dell'Hard Rock Cafe Approdo Del Re sulla quale aveva fatto dei tagli per far uscire le ali. Ai piedi calzava stivali leggeri. Era tutto quello che possedeva. Anche troppo.

Lasciò la stanza e si diresse per un lungo corridoio, sul quale si affacciavano altri loculi e altre cappelle. Alcune tombe erano state scoperchiate. Sul pavimento, bottiglie rotte e preservativi usati. Bestemmie e disegni osceni coprivano gli affreschi sulle pareti.

Porco Cernunno.

Due scheletri che scopavano.

Voi Vittu.

La Regina di Cuori che succhiava l'uccello a un minotauro.

Shai-Hulud c'è.

Un unicorno con un vibratore al posto del corno, intento a sodomizzare un elfo, mentre i Piccoli Omini Grigi guardavano la scena masturbandosi.

Aveva pagato così poco per quel transito illegale che non poteva pretendere di arrivare direttamente in un albergo a cinque stelle. Pazienza, in vita sua aveva visto di peggio.

Uscì in un piccolo cortile. Gli edifici che vi si affacciavano erano formati da grosse pietre irregolari mentre le finestre erano occhi neri che la fissavano indifferenti. Altre  aperture davano su ambienti altrettanto oscuri. Il cielo era un grigio soffitto posto a un centinaio di metri di altezza. Migliaia di cristalli, incastonati in quel grigio uniforme, illuminavano a giorno l'intero livello, ognuno un piccolo sole in miniatura.

In lontananza, riconobbe il Castello di Re Artù, che si alzava fino a fondersi con il soffitto. Vide anche uno dei Sacri Piloni, una nera torre sulla quale brillavano rosse rune. Anch'essa si alzava fino a incontrare il soffitto. Mysella provò a immaginarsi quella torre salire attraverso tutti i livelli fino a svettare nel vero cielo azzurro.

Abbandonò il cortile e percorse una stretta strada acciottolata che strisciava tra i vecchi edifici. In giro non c'era nessuno.

Fata Mysella sapeva di trovarsi da qualche parte nel primo livello, ma non sapeva dove. Probabilmente quella era una zona residenziale convertita in necropoli quando gli abitanti si erano trasferiti ai livelli superiori.

Camminava vicino al muro, pronta a saltare dentro a una finestra o a una porta per nascondersi. Iniziò a sentire odore di carne putrefatta. Lo sentiva ovunque andasse, nei vicoli abbandonati di quella necropoli. Se si fermava, l'odore cresceva.

Si voltò lungo la via deserta.

– Vieni fuori.

Non successe nulla.

– Ti do la mia parola di fata che non ti farò del male.

Da una porta uscì un nuppeppo, una tozza massa di carne putrefatta che camminava usando le mani e i piedi. Nella massa di carne si distinguevano i contorni deformati di un viso, sul quale spiccavano due rotondi occhi azzurri.

– Mi stavi seguendo?

La creatura di carne annuì, nei limiti del possibile.

– Lavori per qualcuno?

La creatura di carne fece cenno di no.

– Smettila di seguirmi.

La creatura di carne annuì.

Rimasero a fissarsi finché il nuppeppo non si voltò rassegnato e si allontanò zampettando lungo la via.

Fata Mysella continuò a girovagare per la necropoli finché, giunta a un incrocio, non sentì il rumore di zoccoli sbattuti sull'acciottolato alle sue spalle.

– Ma cosa abbiamo qui? – chiese una voce rocca alla sua destra.

Erano due fauni, lunghe corna, braccia muscolose, gambe caprine e due lunghi battacchi in erezione. Quello alla sua destra teneva in mano una bottiglia di Glingue.

– Mi sono persa, – disse Fata Mysella, il tono quello di una bambina impaurita. – Potreste cortesemente darmi una mano a raggiungere il secondo livello?

– Ci ha chiesto un mano, – disse il fauno alla sua sinistra.

– Gliela potremmo dare, – disse il fauno alla sua destra.

– Potremmo anche darle qualcos'altro, – disse il fauno alla sua sinistra, afferrandosi il pene.

– Ho sentito dire che le fate sono diverse, in mezzo alle gambe.

– Scopriamolo.

La fata iniziò ad agitare le ali e alzarsi in volo. I due fauni le furono addosso, le afferrarono le gambe e la tirarono giù. Mentre uno le teneva le spalle inchiodate al suolo, l'altro cercò di sollevarle la gonna e aprirle le gambe.

– No! Vi prego! – urlò terrorizzata. Poi scoppiò a ridere. Qualcosa nel suono di quella risata bloccò i due fauni.

– No, veramente, – chiese Mysella, questa volta con tono serio, – vogliamo scherzare?

Nessuno sentì i fauni urlare. Nessuno udì lo strappare delle membra. Nessuno vide i loro arti roteare sopra i tetti degli edifici, il sangue che disegnava parabole. Nessuno vide i quattro bulbi oculari rotolare giù per la stradina fino alla piazza e fermarsi contro la vera di un pozzo. E anche se qualcuno vide o sentì qualcosa, fece finta di niente.

Nessuno, infine, vide Fata Mysella raggiungere tranquilla la piazza, il vestito immacolato e uno strano sorriso sulla faccia. E se qualcuno vide quel sorriso, si cagò sotto.

Passò dalla necropoli alla zona residenziale senza accorgersene. Bambini nudi giocavano nel fango sotto gli occhi di una donna intenta a cucire. Un elfo giaceva disteso sull'uscio di una casa, la siringa attaccata al braccio. Villette e piccoli palazzi fortificati iniziarono a sostituire le vecchie case. Nani e goblin, stravaccati sui sgabelli davanti ai portoni, fissarono truci il passaggio della fata.

Comparvero templi e sedi delle gilde. Voltò un angolo e si trovò in una delle piazze principali del primo livello, in mezzo al mercato più chiassoso del multiverso. Fu assalita dagli odori dei cibi e dei sudori e degli aliti.

Le bancarelle offrivano oggetti magici, veri e falsi, rubati, rinvenuti e comprati dai mercanti di tutte le razze. Un elfo vendeva amuleti magici che garantivano fortuna, salute, amore, sesso e Like su Facebook. Un mago vendeva anelli per catturare, incatenare, e firmare contratti a tempi indeterminato. Su tavoli facevano bella mostra intrugli, tisane, brodi ribollenti dai quali si alzavano ectoplasmi e miasmi. Un orco vendeva pezzi di ricambio per robot e componenti elettronici a basso costo. Una tenda ospitava televisori a tubo catodico, specchi magici e sfere di cristallo, un labirinto di riflessi nel quale Mysella si perse per un attimo.

Se non lo trovavi qui, non lo trovavi da nessuna parte nel Multiverso.

Dopo il silenzio della necropoli, il rumore del mercato la stordì: la gente contrattava, i mercanti urlavano, i predicatori ammonivano, i menestrelli strimpellavano.

La folla di creature scorreva tra le bancarelle. Un troll trainava un carro con scatoloni di televisori. Un cavaliere in cotta di maglia gli faceva da scorta. Monaci camminavano sulle ginocchia sanguinanti, con le persone che li deridevano o incoraggiavano a seconda del proprio credo religioso.

La fata trovò la tenda che cercava. All'interno, esposte sulle rastrelliere, spade, picche e asce facevano bella mostra di sé. Un vecchio elfo la accolse con un sorriso stampato sul volto.

– Buongiorno. Posso aiutarla nella scelta della sua arma?

– Avete armi da taglio molto belle.

– La ringrazio. Belle armi per clienti belle come lei.

Mysella riuscì a produrre un sorriso timido e vanitoso.

– A essere onesta cercavo un’arma da fuoco. Qualcosa di potente.

– Noi non trattiamo questo genere di armi. La vendita di armi da fuoco è regolamentata dal Consiglio Cittadino.

– Appunto, mi serve un'arma non registrata.

– Quello che chiede non è del tutto legale.

– No.

Tirò fuori un grosso sacchetto. Lo scassò facendolo tintinnare.

L'elfo la studiò per un attimo, poi le fece segno di seguirlo in un angolo della tenda coperto da dei drappi. Sul pavimento vi erano delle casse di legno. L'elfo ne aprì una. All'interno, adagiate sul polistirolo, riposavano tre grosse pistole.

– Sono magiche. Provi a vedere con quale si sente meglio.

Mysella afferrò la prima arma, una PPK–12 Gauss dall'impugnatura in avorio e la canna dorata.

– Mollami, stronza! Toccati il tuo di grilletto con quel dito!

Mysella guardò l'elfo.

– Io posso anche vendergliela, ma se quella si rifiuta di sparare, non se la prenda con me.

La fata rimise l'arma al suo posto.

La pistola successiva era un'arma laser color bronzo dalla linea art deco.

– Sei vegetariana? – chiese l'arma appena Mysella la sfiorò con la mano.

La fata lanciò un'occhiata interrogativa al negoziante. Quello fece spallucce.

La terza e ultima arma era una Merel modello Hyperion di  color rosso scuro. Mysella sentì la pistola fare le fusa nella sua mano.

– Dai ti prego, uccidiamo qualcuno! – miagolò l'arma. – Per esempio il negoziante. Cercherà di vendermi al doppio del mio vero prezzo. Uccidilo subito.

– Prendo questa – disse Fata Mysella.

Mercanteggiò sul prezzo della pistola e delle munizioni. Pagò in monete d'oro. Nascose l'arma tra le pieghe della gonna e ritornò nella confusione del mercato.

Scivolò in mezzo alla folla, fino a un alto edificio all'altro capo della piazza. Dal tetto dell'edificio partiva una lunga fune d'acciaio che, sostenuta da travi poste sul soffitto, spariva in una galleria che si apriva tra i cristalli luminosi. All'interno, nella sala d'aspetto, seduto su uno sgabello, un elfo leggeva il giornale.

– La teleferica?

– Parte tra dieci minuti – rispose quello senza alzare gli occhi.

La cabina arrivò in ritardo. Nella sala d'aspetto si era radunata una grossa folla composta per la maggior parte da uomini e orchi. Fata Mysella fece il viaggio schiacciata tra un grasso orco che puzzava di sudore e un uomo lucertola che le fissò le tette per tutto il tempo. Poco prima di raggiungere il soffitto, si fece largo a suon di spintoni fino al finestrino della cabina. Dall'alto, vide tutto il primo livello: l'antico Castello di Re Artù, le grandi cattedrali e i ricchi templi dedicati a infinite divinità, le fortezze e i palazzi dei nobili e le catapecchie dei poveri. Su tutto torreggiavano i Sacri Piloni.

Quando raggiunsero la galleria tutto si fece buio, sentì qualcuno toccarle il sedere e mollò una gomitata. Un lamento salì oltre il brusio della folla. Quando la cabina uscì dalla galleria e la luce delle lampade a gas del secondo livello illuminò la cabina, attorno alla fata si era creato uno spazio vuoto.

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