Le vie della rete sono infinite. Così mi sentirei di esordire scrivendo questo articolo, che ha una genesi – oserei dire – casuale. 

Accade che nel 2004 Ursula K. Le Guin, che gli appassionati conoscono soprattutto per il romanzo di fantascienza premio Hugo e Nebula La mano sinistra delle tenebre (1969) e per il ciclo fantasy La saga di Terramare (scritto tra il 1968 e il 2001), pubblichi The wave in the mind, che raccoglie saggi e riflessioni su scrittura, lettura e immaginazione. 

Facciamo un passo avanti: alcuni estratti dal libro sono, lo scorso anno, ripresi da vari portali, tra cui BrainPickings e Vox Populi, e vengono condivisi e ricondivisi sui social network fino ad arrivare fino a me grazie alla segnalazione del prezioso Emanuele Manco. 

Decidiamo di approfondire alcuni aspetti del pensiero della Le Guin, quelli che, in quanto appassionati di fantastico, ci toccano più da vicino. I temi – la natura del potere, il ruolo dell’immaginazione per cambiare lo status quo – sono nelle mie corde e decido che sarò io a scrivere il pezzo. O chissà, forse è il pezzo che ha scelto me. 

Parto da un’affermazione della Le Guin:

Fantasy and science fiction in their very conception offer alternatives to the reader’s present, actual world.

Nel senso che la scrittrice dà a questa frase l’alternativa in questione non è un idillio o una fuga dal reale, quanto piuttosto la consapevolezza che la realtà che viviamo non è l’unica possibile e, soprattutto, non è immutabile. 

Compito dell’immaginazione e della narrazione è concepire realtà in cui le cose vanno diversamente e una differente giustizia sociale è possibile. Un esercizio di immaginazione di questo tipo racchiude in sé una tale potenza rivoluzionaria da renderlo pericoloso per l’establishment, perché un cambiamento della realtà andrebbe contro gli interessi di chi la domina. 

Il concetto di “giustizia” di cui la Le Guin parla è ambivalente: si tratta di un’idea – astratta – prodotta dalla mente umana, che però mostra tutta la sua inefficacia nel momento in cui viene realizzata praticamente: se diamo per scontata una determinata organizzazione sociale – la ricchezza nelle mani di pochi a fronte della povertà di molti, il ruolo subordinato delle donne rispetto agli uomini nell’esercizio del potere e nel godimento della libertà – non ne vedremo neppure i limiti e le storture. Il riconoscimento dell'ingiustizia è il punto cardine del discorso della Le Guin:

The shift from denial of injustice to recognition of injustice can’t be unmade. What your eyes have seen they have seen. Once you see the injustice, you can never again in good faith deny the oppression and defend the oppressor. 

Allo stesso modo, è impossibile ottenere la libertà se prima non si è in grado di immaginarla e condividerla con più persone possibile:

We will not know our own injustice if we cannot imagine justice. We will not be free if we do not imagine freedom.

Perché scrivere, oggi, di questi temi, che la Le Guin aveva ben chiari già nel lontano 2004? Mi viene da dire che intellettuali del suo calibro sono la dimostrazione che non è possibile intendere Fantascienza e Fantasy come generi letterari minori perché avulsi dalla realtà: anzi, è proprio tramite la metafora che sono ancora più calati nel reale di certa letteratura realistica. Mi vengono in mente soprattutto alcuni portavoce della cultura ufficiale che, non avendo mai approcciato la narrativa fantastica con mente sgombra dal pregiudizio, hanno finito per fraintenderla e vederla come niente più che un ripiegamento verso l'interno, come un conservatorismo di fondo. Ma, come dice J.K. Rowling per bocca di Albus Silente, non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere. ll narratore della Le Guin non è “solo” uno che racconta storie perché racconta la verità. 

The storyteller is the truthteller.