God of War è più di una serie videoludica, è una vera e propria icona generazionale: uno spaccato che rappresenta molti dei giocatori attivi a metà degli anni duemila, un ponte tra diverse generazioni di console Sony nonché una delle avanguardie nel campo della giocabilità dinamica e spettacolare. Il brand, sviluppato sotto forma di trilogia, ha terminato il suo arco narrativo nel 2010, accomiatandosi con dignità e prestando il proprio nome solamente a spin-off secondari che poco hanno aggiunto alla formula già nota. Dopo otto anni di latitanza il dio della guerra parrebbe tuttavia pronto a tornare a dominare il mercato con un soft reboot che sposta la vicenda dalle terre elleniche al mondo norreno, scomodando il paganesimo vichingo per stuzzicare i più bassi istinti teocidi. Il dubbio sorge però spontaneo: God of War è un nuovo inizio o una mera trovata commerciale utile a battere cassa? Gioco alla mano, vi offriamo le nostre impressioni.

Gylfaginning – La storia

Lo spartano Kratos si è da tempo lasciato alle spalle la terra natia, teatro di mille tragedie e fonte di ricordi dilanianti. La triste ricerca dell’oblio lo ha condotto verso le fitte foreste del nord, ove protetto da anonimato ha potuto legarsi a una donna e con lei generare un giovane vivace, Atreus. La quiete non ha tuttavia spazio nella vita dello stanco guerriero. La compagna si ammala gravemente e, sul letto di morte, chiede ai suoi cari che le sue ceneri vengano sparse dal picco più alto dei nove mondi. Ancor prima che i carboni della pira si siano intiepiditi, però, il lutto della famiglia viene disturbato da un’inattesa visita: un uomo misterioso si presenta alla porta dei due, intimando loro la resa.

Si tratta di un messaggero divino in cerca di un qualcosa che mai si degna di rendere noto, da per scontato sia cosa ovvia o cerca spavaldamente di provocare una reazione violenta che non tarda ad arrivare. Pugni e ascia non segnano le sue carni, egli è del tutto invulnerabile alle ferite, immortale sotto ogni aspetto e condannato a una vita priva di stimoli. Il dio della guerra, stremato, riesce comunque ad allontanare la minaccia e a guadagnare istanti preziosi, ma la fragile quiete a cui si poggiava è ormai infranta e il viaggio che lo attende si preannuncia pieno di insidie.

Fjölsvinnsmál – Il figlio

God of War è profondamente differente dai suoi predecessori. Le distinzioni predominanti non possono che essere ricondotte tutte alla presenza di Atreus, vero punto nevralgico attorno al quale orbitano gli aspetti più importanti del game design. La trama, scarna al limite del MacGuffin, viene arricchita dalle pregne e inaspettatamente profonde interazioni padre-figlio. Il ragazzo, allevato perlopiù dalla madre, si pone inizialmente con diffidenza, riverenza e ammirazione nei confronti del burbero soldato, spera di ottenere il suo consenso ma tacitamente lo incolpa di essere una figura assente e anaffettiva. Dal canto suo Kratos, inasprito da una vita di orrori, si mostra incapace di creare un contatto umano con il suo primogenito, ogni sua ricerca di contatto fisico ed emotivo rimane frustrata e il suo ruolo genitoriale appare confinato ad austera severità.

Ogni progresso interno al gioco contribuisce a fortificare il rapporto tra i due, la loro relazione cresce pari passo col coinvolgimento del giocatore, testimone esterno di quelle mille sfumature che vanno ben oltre all’interazione verbale e che la regia propone in un unico, suggestivo, piano-sequenza. I sentimenti di Atreus non sono arginati alle scene interattive, bensì divengono anche parte integrante del sistema di combattimento. Nelle situazioni più concitate il giovane mostra infatti la goffaggine tipica di un temperamento puerile non ancora formato dall’arte della guerra: quando è esaltato si avventa ciecamente sugli avversari quando e ostenta passività quando depresso, alterando sensibilmente il fluire degli scontri.

Gli elementi più importanti, i principi guida che hanno dato origine a questo gioco, sono la semplicità della storia e la complessità dei suoi personaggi, ci ha confessato il game director Cory Barlog. Ritengo che Kratos e Atreus siano i due personaggi meglio rappresentati che il nostro studio abbia mai creato. Prima Kratos era considerato caratterialmente piatto, sempre arrabbiato, ora ci sono molti altri elementi che entrano in gioco perché suo figlio, in un certo senso, gli sta insegnando a tornare a essere umano. Mentre il ragazzino cerca di far riemergere l’umanità del padre, Kratos insegna a suo figlio come essere un semidio, come evitare gli errori che lui stesso aveva compiuto, come fare a essere un dio diverso da quello che lui era stato.

Il vincolo tra i protagonisti propone un’alchimia inedita ai canoni della saga, una complessità molto più vicina alle avventure narrative quali The Last of Us o The Last Guardian che all’azione frenetica che caratterizzava le uscite passate. Le scelte dal regista sono state consapevoli e ponderate, si sono mosse in controtendenza e sono state ulteriormente rinforzate dallo stravolgimento del sistema di gioco tanto familiare ai videogiocatori veterani.

Hryggjarstykki – Il sistema di gioco

Addio alla veduta a volo d’uccello che consentiva di fruire al meglio delle vaste battaglie e dei giganteschi nemici, God of War si converte alla ripresa “sopra la spalla” resa celebre da Resident Evil 4 e ormai sdoganata a ogni genere videoludico. Il cambiamento forza il pubblico a una nuova prospettiva, più intima e vulnerabile; la scala delle proporzioni e delle scenografie non è più legata alle architetture – che pertanto si possono svestire di verosimiglianza per puntare a un’estetica divina – ma a Kratos stesso, un uomo ormai appesantito dagli anni la cui possanza scemante non permette più di fronteggiare titani a cuor leggero.

Il sistema di combattimento varia di conseguenza, gli attacchi vengono sferzati con un’arma aliena al protagonista. L’ascia, ereditata recentemente dalla compagna, gli impone un’impropria lentezza e lo lascia vulnerabile agli attacchi provenienti dai numerosi angoli ciechi. Ai fini di preservare la piacevolezza dell’esperienza di gioco, le debolezze del vecchio spartano vengono compensate dalle segnaletiche su schermo – disattivabili – e dal prezioso supporto di Atreus, ma l’essenza stessa del titolo impone ai giocatori un nuovo stile a cui adattarsi, obbligandoli a fare tabula rasa delle memorie acquisite.

Il desiderio di rinnovamento di Barlog tocca quindi il level design, rinuncia alla linearità in favore di un mondo ampiamente esplorabile, incita i giocatori a tornare sui propri passi per ottenere tesori precedentemente inaccessibili. Bottini e risorse sono infatti essenziali a costruire equipaggiamenti capaci di reggere sfide dalla crescente difficoltà, introducendo un ulteriore strato di complessità all’altrimenti scarna componente ruolistica delle avventure di Kratos. I punteggi di armi e armature determinano le statistiche di Kratos stesso, definendo una serie di valori a cui occorre prestare grande attenzione, se si vuole avere la meglio sugli avversari più pericolosi.

Háttatal – Conclusioni

Come menzionava già Cesare Pavese, i miti greci sottolineano come la ricerca della libertà conduca irrimediabilmente a combattere un “antico se stesso”. God of War ripudia parzialmente la sua identità passata, quella monodimensionale e forsennata, per evolvere in una direzione più didascalica e posata, assecondando la maturazione dei fan di lunga data e aprendosi la strada verso una demografica più in linea con i gusti contemporanei. Questa scelta è audace e socialmente rilevante, ma non potrà che scontentare i nostalgici interessati alla pura azione adrenalinica degli scontri.

Sony propone al pubblico qualcosa di diverso che vuole dichiaratamente riprendere con occhi nuovi una saga lasciata in sospeso, ampliarla e stravolgerla, ricominciarla. Nel farlo garantisce massima cura, offre un prodotto che rasenta la perfezione e al quale si possono contestare solamente alcuni aspetti dubbi e minori che, pur non rovinando la trama principale, sembrerebbero cannibalizzare il titolo di certi elementi secondari per poi integrati a pagamento in un secondo momento. Detto questo, l’avventura di Kratos mette in campo un prodotto completo sia per durata che per complessità, un gioco che scommette sui propri consumatori e offre una narrazione inaspettatamente empatica e multisfaccettata che culmina col desiderio di avere immediatamente sotto mano un eventuale sequel. God of War riesce a ravvivare una fiamma morente e la fomenta al punto di trasformarla in fuoco greco.