I Vivi e i Morti

 

 

Venne avanti nel silenzio, bocche chiuse e centinaia d’occhi calamitati su di sé. Gli stivali affondavano nell’erba spolverata di cenere: imprimevano un’orma netta sul suolo che lui s’impegnava a rispettare col suo incedere solenne. Dinanzi, un semicerchio di mausolei marmorei, l’abbraccio gelido degli antichi defunti. Intorno, una moltitudine di lame piantate a terra, animate dal riflesso dell’ultima luce del giorno.

Attraversò il sacrario fin dove gli era stato indicato. Spade e spadoni, frammisti a picche, asce, alabarde. Si arrestò al cospetto di una lama di pregevole fattura, cui sangue secco e fuliggine avevano rubato la lucentezza. Una torre e un veliero ne decoravano l’elsa.

La Torre e il Veliero di Saëgata.

Etienne d’Averar si genuflesse: il prato ricoperto di cenere accolse morbido il suo ginocchio.

– È caduto qui? –   volle sapere.

– A difesa del Campo di Spade. –   fu la risposta laconica di Georg-Heinz Thiele.

Il Kaiser indugiò sulla scanalatura della lama, mirabile nonostante la sporcizia, e sulle cesellature della guardia e del pomolo. Quel che davvero incrociava, però, era lo sguardo familiare di Rudger Rembrandt. Primo Generale di Saëgata, compagno di battaglie, amico fraterno e martire valoroso di quella guerra.

Perché questo ancora conta, pensò. Quando tutto è finito e il corpo è in polvere, il tuo valore testimonia l’impronta che hai lasciato nel dirci addio su questa terra.

– Il Primo Generale ha scelto di combattere l’ultima battaglia indossando il mantello dei vostri Angeli, mein Kaiser.

Etienne si voltò nella direzione di Thiele che gli tendeva qualcosa: un fermaglio a forma di ala, icona degli Angeli d’Averar.

– Il mantello è bruciato assieme al suo corpo. –   aggiunse il kommandant dei Lupi Grigi di Kaisersburg. – Lord Rudger aveva disposto di essere cremato nella sua uniforme.

Etienne si alzò in piedi prendendo il fermaglio. – Allora avreste dovuto bruciare anche questo.

Il kommandant non ebbe risposta. – Il Primo Generale è stato d’esempio per tutti, qui, fino alla morte. –   disse invece, quasi a voler compensare.

– Non avrei creduto a niente di meno, comandante.

Etienne tornò a guardare il riverbero del tramonto che spennellava le cesellature sulla spada. I soldati intorno osservavano senza fiatare la maschera del loro massimo condottiero, l’espressione insondabile dei suoi occhi di ghiaccio. Chissà quanto intuivano del tumulto nel suo cuore. Etienne pensava a Rudger, alla spada che segnava il suo tumulo orfano di spoglie, all’epitaffio scritto con la fuliggine e il sangue. E, ancora, pensava all’uomo che gli avevano riferito averla piantata su quel prato, nel cimitero dei guerrieri caduti.

Lothar Basler.

Un nome che spalancava fatalmente il baratro della memoria. Alla luce spettrale dei fatti accaduti, nella prospettiva tremenda di ciò che aveva visto e saputo, il suo nome sembrava voler conferire senso a tutta quella tragedia, che di senso non sapeva che farsene. Senso e coerenza, cucendo gli eventi con un filo d’ombra e sangue, in una trama destinata a torcersi in una spirale pronta ad ingoiarli tutti quanti. Aveva ascoltato i racconti sulle ultime settimane di Genes, fino alla venuta dell’uomo capace di affrontare l’incubo. Di cadere e risorgere. Di farsi ombra per sconfiggere la tenebra.

Un uomo che lui sapeva morto da più di dieci anni.

Lothar Basler… Sanno gli dèi quanto vorrei averti qui, a dissipare l’assillo delle mie domande. Tu custodisci le risposte, ne sono certo. Hai sempre covato i tuoi oscuri misteri, e io credo che tu conosca anche quello dell’incubo che ci assale. Invece sei partito incontro all’oscurità, forse a cercare una soluzione, forse a rendere finalmente la vita che io credevo avessi già perduto. Vorrei averti qui, ma così non è. Ed oltre agli interrogativi a me resta una guerra, e la responsabilità di chi assieme a me la combatterà.

– Il sole è quasi calato, mio Kaiser. Se volete ispezionare l’ultimo tratto di mura, forse sarebbe meglio sfruttare la poca luce rimasta.

A parlare era stato Amos Kroemmell, il Templare di Volkos che aveva guidato l’assalto alleato grazie al quale i difensori di Genes avevano potuto scacciare il nemico dalla valle nell’ora in cui tutto era sembrato perduto. Lui e il suo gemello Agos, ritti accanto a Georg-Heinz Thiele, avevano preso il comando di quel che restava della città, per poi consegnarlo nelle mani del Kaiser al momento del suo arrivo, una settimana dopo.

Etienne concordò con un cenno del capo. Guardò di nuovo la spada di Rudger e stavolta la sua mente non andò a Lothar Basler, ai suoi ritorni e ai suoi misteri. Ripensò all’orrore in cui si era imbattuto valicando la Cordigliera, all’avanguardia degli eserciti nemici. Inferiori nel numero, incapaci di nuocere seriamente alla sua preponderante armata, erano bastati lo stesso a instillare l’orrore di quanto li attendeva più avanti. Le storie dei sopravvissuti di Genes, poi, incorniciate dalle macerie ancora fumanti e dai sepolcri di fiamme e acciaio, avevano cementato l’inquietudine.

Erano scesi in forze, lungo il Passo Arrena. Allertati dai dispacci infine giunti da sud, non si erano fatti trovare impreparati come era accaduto a coloro che li avevano preceduti. Le premesse erano sconcertanti: una spedizione quasi annientata attraverso il Gran Corno; un’altra decimata sul Valico dell’Aquila, ridotta ora a combattere dalle parti di Cailona, in disperata attesa di rinforzi; una terza, partita via mare alla volta di Lativia, di cui non si aveva più notizia. Il Kaiser, messo al corrente dell’agghiacciante scenario, aveva allestito un vero e proprio esercito per la guerra ed era sceso in campo a capo della maggiore delle sue armate. La decisione non era stata presa a cuor leggero. La situazione sul fronte orientale era tutt’altro che risolta: l’assedio di Gavanin da parte delle orde del Khaghan Managhulay era durato appena due settimane, spezzato dall’intervento dei rinforzi da Volturnia. I barbari si erano ritirati nella steppa, ma non avrebbero tardato a mettere di nuovo a ferro e fuoco il principato. Malgrado le accorate richieste di supporto inoltrate da lady Irina Vasilievna, principessa di Gavanin, il Kaiser aveva potuto accordare la sola partecipazione delle milizie di Volturnia e Kaisersburg alla campagna di contenimento delle tribù di Ruyskha. Saëgata, Jemi e soprattutto Lum avevano dovuto raccogliere le forze per fronteggiare la terribile minaccia che veniva dal sud. La condizione dei Principati, stretti tra due fuochi, si era aggravata di giorno in giorno: una crisi senza precedenti nella storia della Confederazione. Prima di partire per la Cordigliera, Etienne aveva siglato due petizioni formali d’intervento militare. Una era stata spedita a nord, ad Ästra; l’altra oltreoceano, a Caeres. Nel primo caso, il Kaiser confidava di ottenere supporto immediato dal Regno del Nord, alleato secolare. Nel secondo, i legati avevano l’incarico di intavolare una trattativa per un eventuale sbarco a oriente di un’armata imperiale, come restituzione del servizio offerto a parti inverse nella guerra contro la Repubblica di Rhon, dieci anni addietro.

Etienne sperava di non dover ricorrere al soccorso di Caeres. All’epoca i Principati avevano venduto a caro prezzo il proprio aiuto, a dispetto dell’antico trattato che li vincolava a fornirlo; al tavolo della negoziazione, Caeres lo avrebbe senza dubbio ricordato, con tanto di relativi interessi. Sopra a tutto, però, Etienne sperava di non dover vedere le galere imperiali sbarcare a oriente perché questo avrebbe significato che la situazione era degenerata oltre il limite. Osservando lo sfacelo di Genes, con la mente affollata di immagini da incubo, il Kaiser temeva purtroppo di avere già oltrepassato il confine. 

– Vogliamo andare, mio Kaiser? –   lo invitò Amos Kroemmell.

Etienne diede un’ultima occhiata alla spada e, di colpo, provò l’irrefrenabile tentazione di strapparla via dalla terra.

L’acciaio serve ai vivi, non ai morti! gli ruggì una voce nella testa, alimentata dalla collera e dall’amarezza. Una voce terribilmente simile a quella di Rudger.

Strinse le dita sull’impugnatura, fece vibrare la Torre e il Veliero.

Poi la lasciò andare.

Anche la memoria serve ai vivi, e ben più dell’acciaio. Passò lo sguardo sugli uomini che lo scortavano. Soldati che avevano appena cominciato a comprendere la natura del nemico, mischiati a soldati che ne avevano già assaggiato il morso ferale. Serve ai vivi che devono continuare a combattere.

Barbagli sulfurei lampeggiarono a sud, oltre il profilo delle mura violate. Etienne l’aveva già avvistati sulle montagne, venuti a preannunziare l’appressarsi del nemico. Serpeggiavano per il cielo cupo della sera, nutrendosi degli ultimi scampoli di luce.

Etienne d’Averar s’inchinò davanti alla lapide d’acciaio di Rudger Rembrandt e all’intero Campo di Spade.

Il valore e la memoria per indicare la via a chi rimane. Possano sostenermi, amico mio, nell’affrontare col cuore saldo l’incubo che ci aspetta.