PRELUDIO

Il sole del mattino splendeva pallido tra le nubi che come grigi drappi ancora si attardavano nel cielo.

La brezza mattutina trasportava con sé l’odore della pioggia passata, gelando l’acqua sul mantello del viandante. Questi, dal canto suo, pareva non accorgersene: aveva viaggiato a lungo e non sempre era riuscito a trovare un riparo confortevole dai rovesci che avevano imperversato sulla contrada durante tutta la settimana precedente.

Sembrava procedere con passo deciso, sebbene un osservatore acuto avrebbe notato il lieve barcollio della figura, segno della stanchezza per il tanto camminare.

Gli stivali di cuoio nero, alti fin sopra il ginocchio, affondavano nella mota che soffocava il sentiero: in alcuni tratti pozzanghere ampie al punto da ostruire l’intera carreggiata lo costringevano a deviare lungo i campi, dove l’erba zuppa saliva quasi a sfiorargli la cintola.

Un tempo la semplice crudezza del paesaggio avrebbe suscitato in lui un moto di melanconia: l’unico particolare su cui ora si concedeva d’indugiare era di non aver incrociato nessuno lungo la via, eccetto una coppia di guardastrada a cavallo di scorta a una carrozza. Pareva che la gente, costretta a rintanarsi in casa dagli acquazzoni, ancora non si fidasse della quiete ritrovata e fosse restia a uscire di nuovo.

Dopo circa mezz’ora, la via lo condusse sulla cima di un ripido dosso, al di là del quale si tuffava in una conca vasta una decina di chilometri. In cima all’altura, il viandante si arrestò. Contemplò in basso la meta del suo viaggio: le imponenti mura di una città si ergevano al centro della depressione, quasi a voler raggiungere il cielo e stracciare con la cima dei bastioni i residui gonfi delle nubi che nei giorni passati le avevano tempestate di pioggia, tingendo la pietra della cupa tonalità del limo.

Sostò a osservare l’anello descritto dalla cinta muraria. Il perimetro fortificato era interrotto dal massiccio portale verso cui conduceva il sentiero e da due aperture altrettanto imponenti, l’una che accoglieva il fluire del fiume che pigramente solcava la valle provenendo da est, l’altra che ne permetteva l’uscita a nord. Egli sapeva, pur non potendoli vedere, che portali analoghi consentivano l’accesso da sud e da ovest, e che un secondo corso d’acqua attraversava le mura per unirsi al primo al loro interno. Un brivido fugace gli carezzò la schiena, ben diverso da quelli provocati dall’umidità: esitò ancora un momento nella quiete del mattino, il viso increspato da un’espressione di amaro stupore, come se soltanto adesso realizzasse davvero di essere giunto fin lì. Scrollò le spalle e iniziò la discesa del declivio con passo spedito.

C’era animazione all’ingresso delle mura. Alcuni uomini dall’uniforme verde e nera, guardie cittadine, erano attorniati da una piccola folla ciarlante. Li raggiunse e, sbirciando tra la calca, scorse la causa dell’assembramento: i gendarmi erano intenti a issare un massiccio palo di legno con l’ausilio di un intreccio di funi. In cima al palo era fissata la grossa ruota di un carro. Intuì immediatamente la natura della rozza impalcatura, e così fece l’assemblea attorno: nessuno infatti parve stupirsi alla vista dei corpi nudi e martoriati appesi ai raggi della ruota. Quando la pertica fu allocata nella buca predisposta, la folla fece spazio a un tizio barbuto, vestito con il tabarro verde e nero. La guardia armeggiò con un mazzuolo per affiggere un cartello al palo.

Intanto che i gendarmi si disperdevano, il viandante si fece avanti. Sul cartello era riportato, in caratteri grossolani:

COLPEVOLI DI FURTO AGGRAVATO

ALLE SCUDERIE DELLA CITTADELLA

I curiosi iniziavano a sfollare scambiandosi sogghigni e commenti soddisfatti. Il viandante restò solo in compagnia delle sentinelle armate di alabarda che piantonavano il portale vicino. I cadaveri appesi lo scrutavano con occhi vitrei. Corvi silenziosi incombevano tra i merli, pregustando il pasto imminente.

Mentre il vento cresceva d’intensità, restituendo all’aria il fresco profumo dei campi troppo a lungo ammorbati dall’uggia delle pioggie, egli alzò lo sguardo al cielo che si andava rischiarando e inspirò a fondo. Poi si voltò e, tra i giganteschi draghi di pietra consunta che incorniciavano l’ingresso della città, lesse scolpito nel marmo: 

LUM

– Sono tornato a casa. – mormorò.