Escludendo gli addetti ai lavori sono ben pochi coloro che se ne sono resi conto: sta per uscire Il primo Re, lungometraggio dedicato alla leggenda di Romolo e Remo. Più che un “lungometraggio” un vero e proprio kolossal che però fa decisamente cilecca sul piano del marketing. Rimediamo a una simile défaillance offrendo spazio a questa opera magna tristemente destinata a essere un’eccellenza più unica che rara.

Niente lupa – Trama

La piena del Tevere stravolge la vita di due pastori, due gemelli orfani la cui vita spartana è allietata solamente dal reciproco affetto. Sopravvissuti a stento ai vorticosi vortici del fiume, Remo e Romolo si ritrovano privati di ogni avere, soli e prigionieri delle armate della potente Alba Longa. Proprio nei momenti più oscuri, quanto ormai si vedono condannati a morire al fianco di derelitti e tagliagole, improvvisano una rocambolesca rivolta e si mettono alla testa di un manipolo di manigoldi male assortiti il cui unico obiettivo è raggiungere il confine dei terreni di Alba e tornare a essere uomini liberi.

753 a.C. – Comparto tecnico

Matteo Rovere (Smetto quando voglio, Veloce come il vento) è più noto al grande pubblico come produttore che come regista, ma la sfilza di candidature e di premi che si porta alle spalle dimostra indiscutibilmente un pedigree d’eccellenza. Ne Il primo Re egli è stato in grado di gestire al meglio risorse e tempi, è stato saggio nel determinare i set e le ambientazioni, ha diretto magistralmente i già capaci attori. Quattro stracci, qualche pelliccia, una boscaglia piena di acquitrini e tanta nebbia artificiale: un insieme di elementi che nella loro semplicità mettono in difficoltà i registi sprovveduti, ma che nelle mani di Rovere assumono tinte genuine e autentiche. I lunghi mesi dedicati alla post-produzione hanno dato vita a un frutto ben maturo.

La fotografia d’altro canto mira a voler sfruttare quanto più possibile la luce naturale, imita la vena folle di Kubrick e si affida alle lenti Zeiss per ottenere una ricercatezza estetica più organica. Il risultato dell’azzardo è imperfetto, non sufficientemente visionario e pittorico per raggiungere l’eccellenza, ma non per questo privo di trovate argute e apprezzabili. Anche la colonna sonora – affidata a Andrea Farri – regala qualche piacevole sorpresa: l’intuizione di mescolare tracce orchestrali al fianco di brani di musica al sintetizzatore è bizzarra quanto audace, ma funziona. 

Mimesi – Gli attori

Per una fetta considerevole della pellicola, il Romolo di Alessio Lapice (Gomorra – La serie) è incapacitato e semi-incosciente, tocca al Remo interpretato da Alessandro Borghi (The Place, Suburra – la serie) reggere le redini della narrazione. Questa scelta forzata porta a un’esplorazione profonda delle abilità attoriali di Borghi, il quale riesce a rappresentare con eguale dignità tanto le vesti del fattore quanto quelle del leader brutale e spietato. Potente è anche la performance di Tania Garribba (Stella), qui vestale del fuoco determinata e virtuosa, capace di destare timore e riverenza con ogni sua più minuscola movenza.

La direzione e la scelta del cast artistico virano inaspettatamente verso una rappresentazione teatrale ed enfatizzata, si accostano più alle tragedie greche che all’industria cinematografica odierna, arrivando a preferire l’uso di un sedicente proto-latino pre-romano reso comprensibile esclusivamente dai sottotitoli. Solo gli attori di retaggio teatrale sono in grado di sostenere un simile fardello, la loro predominante mimica corporea compensa un lessico che su altre labbra suonerebbe goffo e finto, ma proprio la peculiarità del loro approccio rischia di essere alieno ai codici a cui gli spettatori cinematografici sono addestrati. 

Catarsi – Conclusioni

Il primo Re abbandona la prospettiva mitologica a cui siamo tradizionalmente legati, si immerge in una ricostruzione moderatamente verosimile del passato, bilanciandosi timorosamente sulla sottile linea che determina i limiti della sospensione dell’incredulità. I reperti archeologici dell’VIII secolo avanti Cristo ci svelano sicuramente qualche dettaglio su come poteva essere la quotidianità delle tribù abitanti il Lazio, ma il resto si basa perlopiù su ipotesi o fantasie difficilmente verificabili.

Che sia per l’idioma professato o per il linguaggio corporeo messo in scena, l'enfatizzazione del film rischia di essere intesa da alcuni come cartoonesca; non tutti saranno in grado di apprezzare i ritmi e le alchimie ambiziosamente suggeriti, ma il tentativo di Matteo Rovere di muoversi tra cinema "alto" e commerciale non può evitare di accattivarsi anche qualche feroce detrattore. Il primo Re è in ogni caso un film che ambisce a essere mastodontico, è fatto per essere visto sul grande schermo e difficilmente la sua potenza sarà trasmessa adeguatamente da uno schermo del computer o dal televisore del salotto. Se pensate possa interessarvi cogliete l’occasione e andatelo a vedere appena arriva nelle sale, prima che sia troppo tardi.