Qualora dovessi definire questo film un cartone animato, probabilmente non renderei l’idea della forza visiva e della crudezza delle emozioni suscitate. Qualora lo definissi documentario non renderei l’idea della forza di coinvolgimento dello spettatore.

Per fortuna non è necessario definire tutto, si possono tinteggiare delle idee per stuzzicare e invogliare e condividere il piacere della visione del film. Raúl de la Fuente e Damian Nenow, i due registi, hanno creato un gioiellino, la cui potenza è amplificata dall’animazione, grazie a cui i fantasmi e i sogni prendono corpo con una verità inimmaginabile.

Ancora un giorno
Ancora un giorno

La storia è tratta dal romanzo di Ryszard Kapuściński. Ancora un giorno, scritto a seguito della permanenza del reporter in Angola, ai tempi della guerra per la libertà degli angolani dalla colonizzazione portoghese. Uno scritto intimista, in cui, l’autore mette in luce soprattutto l’humus in cui visse, più che la descrizione e il racconto di ciò che accadde. Emerge il coinvolgimento emotivo, più che l’analisi sociologica; il desiderio di giustizia, di libertà più che lo svisceramento delle cause e concause.

Siamo a Luanda (capitale dell’Angola), nel 1975, cioè alla fine della Rivoluzione dei garofani, allorché i cittadini portoghesi decisero di lasciare la città per la paura di attentati e di guerriglie armate sempre più violente. La città diventa fantasma, percorsa solo da disperati, il cui fine (sia nell’una, sia nell’altra fazione) è prioritario rispetto alla vita stessa. La stessa disperazione che si riscontra in tutte quelle situazioni estreme, che ancora oggi ci circondano, neanche troppo lontano.

Ancora un giorno
Ancora un giorno

Purtroppo, come è sempre stato, la responsabilità delle nazioni ricche (o degli Stati) è incommensurabile. Calcolando bene i propri interessi, attraverso alleanze e supporti più o meno leciti, più o meno essoterici, gli aghi della bilancia pendevano sempre in favore della tutela degli interessi dei ricchi. Ai poveri il solo compito di non disturbare.

Kapuściński, nonostante la situazione pericolosa, rimane a Luanda, preso dal sacro fuoco di testimoniare gli orrori di questo mondo, facendo luce sui giochi di potere e denunciando, o volendo denunciare le eminenze grigie, dietro ai vari massacri in Angola.

È vero che i giornalisti hanno una spinta egotica notevole, che cercano lo scoop, ma è vero che sono mossi da un daimon ingestibile, che li porta anche a mettere in pericolo la propria vita, pur di conoscere la verità. Il problema è la responsabilità di comunicare la verità. E se questa verità mettesse in pericolo la realizzazione del Bene finale? E se il dilemma fosse: salvo uno, trenta, oppure mi accollo la consapevolezza della morte di uno, o di trenta, pur di salvarne mille? Emerge allora il vero travaglio interiore sul ruolo del reporter di guerra. Come si fa a essere scevri dal coinvolgimento, quando vivi con quelle persone e magari ti sei affezionato? Fin dove si spinge la verità? La disperazione di quei giorni, di quel periodo emerge con forza dalle immagini animate, intervallate da interessantissime interviste, da fotografie che ritraggono combattenti, magari morti qualche giorno dopo.

Ancora un giorno
Ancora un giorno

Asciutto, accompagnato da un’efficace colonna sonora, non c’è spazio per la riflessione. Mentre si vede il film, lo si vede e magari lo si rivede. Ogni razionalizzazione è posposta, dopo il riassetto delle informazioni, l’inserimento nel contesto storico e l’allontanamento da immagini, che ancora oggi vediamo quasi quotidianamente. Rendersi conto che dopo 40 anni niente è cambiato, e probabilmente niente cambierà è dolorosissimo e richiede un momento di distacco. 

Da vedere assolutamente.