Non ci sono magie che possano cambiare o soltanto affievolire la fede calcistica. Neppure il maghetto più famoso del mondo, alla prima apparizione televisiva (ma solo per quanto riguarda le vicende narrate in Harry Potter e la camera dei segreti), riesce a spuntare un'audience superiore a quella del film tv Il Grande Torino  che conquista uno share del 27.06% (16.031.000 contatti), mentre Harry Potter si deve accontentare del 19,88% (primo tempo) e 24,48% (secondo tempo).

Il dato non deve sorprendere, Harry Potter è una novità televisiva, ma grazie alle pubblicazioni da edicola e il mercato home video, la gran parte degli appassionati del genere si è già accaparrato la possibilità di vedere il film preferito (e senza interruzioni pubblicitarie).

Il risultato del maghetto è positivo, alla luce di queste considerazioni, ma non sminuisce in alcun modo il successo della produzione televisiva dedicata alla squadra calcistica che nell’Italia del primo dopo guerra, un paese distrutto dall’evento bellico e dai dissidi interni, incarnò il desiderio di ricostruzione.

Si aveva il bisogno di trovare la forza di ripartire da zero e lo sport fornì esempi come Coppi, Bartali e il Torino.

La squadra rappresentava la voglia della popolazione di non fermarsi di fronte alle difficoltà che la vita le poneva di fronte; con capitan Valentino Mazzola era tutta l'Italia a rimboccarsi le maniche; il 'tremendismo' granata (il quarto d’ora in cui qualsiasi risultato poteva essere recuperato) incarnava la forza interiore che occorreva trovare per superare qualsiasi problema.

La squadra vincendo e portando spettacolo grazie alle innovazioni portate dal suo direttore tecnico Egri Erbstein, smise di essere orgoglio torinese, e fu adottata dalla nazione intera, prova ne sia la presenza di dieci giocatori granata in una partita ufficiale, record ancora imbattuto, come tanti altri conquistati.

Nel 1949 la squadra era al suo apice, vinceva e divertiva l'Italia e il mondo, facendo tournee dall’Europa al Sud America, meritando rispetto e amicizia.

Proprio in virtù dell’amicizia, quella tra Valentino Mazzola e il capitano del Benfica Ferreira, venne organizzata un’amichevole tra le due squadre, per festeggiare l’addio al calcio di Ferreira stesso.

Il campionato non era ancora stato assegnato matematicamente (sarebbe stato il sesto vinto dal Torino, il quinto consecutivo) ma non parevano esserci dubbi su chi avrebbe avuto il tricolore cucito sul petto e la squadra partì per Lisbona. Al ritorno, complice un grigio pomeriggio di pioggia, l’aereo che riportava la squadra a casa si schiantò contro la collina di Superga, ai piedi della basilica.

Morì la squadra, nacque la leggenda.