Joong-Man ha un triste lavoro part time in una sauna. La sua vita non procede bene, ha un’attività fallita alle spalle, deve prendersi cura della madre malata che maltratta la moglie e il capo lo umilia per il semplice gusto di farlo. Ma non è l’unico a passare un brutto periodo, anche Tae-Young un funzionario della dogana ha un problema di soldi. La sua ragazza se ne è andata lasciandolo al verde e con un debito da pagare a un malvivente locale che minaccia di farlo a pezzi. Ha per le mani un lavoretto ma si mette in mezzo un agente di polizia che inizia a perseguitarlo. Anche Mi-Ran ha un problema di soldi. È stata truffata e ora è costretta a fare la hostess in un bar per soli uomini, mentre a casa l'attende il marito violento. Chiede aiuto a un amante ma le cose finiscono in un disastro ancora peggiore e solo il suo capo Yeon-Hee, una donna con un misterioso tatuaggio a forma di squalo sulla coscia, sembra in grado di darle una mano. Tra colpi di fortuna e sfortuna i destini s'incrociano dove, in mezzo a tutto c’è una borsa di Louis Vuitton piena di soldi.

Nido di Vipere (il titolo internazionale è Beasts Clawing At Straws), scritto e diretto da Kim Yong-hoon alla sua opera prima, è tratto dall'omonimo romanzo del giallista giapponese Keisuke Sone, e si svela subito per ciò che è: un noir classico. Usando una struttura a capitoli dove il tempo non procede per forza in modo lineare ci presenta una storia cinica, dove non c’è alcun grande disegno a muovere la vita dei personaggi, quanto piuttosto il caso o la fortuna rappresentanti persino da un semplice pacchetto di sigarette Lucky Strike. Tutti sembrano mossi solo dai loro interessi lontani da qualsiasi remora morale, guidati dal puro istinto, ma più cercano di uscire dai propri guai più ne rimangono invischiati.

Un cinismo nero quello di Nido di Vipere che ricorda da vicino il cinema dei fratelli Coen, lo stesso Kim Yong-hoon ha detto di essersi ispirato a Fargo, evitando in tal modo la trappola in cui tanti sono naufragati, di fare un pulp alla Tarantino o alla Guy Ritchie. Non c’è ironia né black comedy nella pellicola quanto un’intrigante puzzle che non seduce per la sua originalità ma per la capacità d’intrattenimento, grazie anche ad un cast all’altezza capace d’incarnare alla perfezione tutti i topoi del genere. 

Ancora una volta il cinema Coreano sembra vivere un momento di grazia, dimostra di essere in grado di creare la sintesi perfetta tra Hollywood e il compianto cinema di Hong Kong, rimescolando le carte e portando sullo schermo qualcosa di già conosciuto eppure originale.