Nel corso di un press café a Lucca Comics & Games, Keiichiro Toyama ha raccontato il suo modo di intendere l’horror e la creatività. Creatore di Silent Hill, Siren, Gravity Rush e più recentemente di Slitterhead, Toyama è un game designer capace di fondere inquietudine psicologica e visione artistica.
Dopo aver iniziato la sua carriera nei primi anni Novanta in Konami, dove ha diretto il gioco che lo ha reso celebre, si è unito a Sony Japan Studio, firmando nuove opere e sperimentando linguaggi sempre più personali. Nel 2020 ha fondato Bokeh Game Studio, una realtà indipendente nata con l’obiettivo di dare piena libertà alla propria idea di videogioco come mezzo espressivo e narrativo.
Quando è nato Silent Hill (1999, Konami), l’unico grande punto di riferimento per l’horror videoludico è stato Resident Evil (1996, Capcom), che aveva definito il genere introducendo la formula del survival horror più action e spettacolare. Il team di Toyama, composto da giovani sviluppatori, ha voluto però differenziarsi da quel modello, cercando qualcosa di più psicologico.
Toyama è partito da un concetto molto personale: la paura del buio che lo aveva accompagnato sin da bambino. Non trovando quella sensazione in Resident Evil, ha deciso di costruire un mondo dove luce e oscurità fossero elementi narrativi e simbolici.
I limiti tecnici della PlayStation originale hanno stimolato la creatività del team. La celebre nebbia che avvolge Silent Hill è nata per alleggerire il carico dell’hardware, ma è diventata un elemento centrale nel creare un senso di sospensione, ansia e mistero.
Rapporto col cinema
Toyama ha dichiarato di aver tratto grande ispirazione da David Lynch, in particolare dai contrasti visivi e dall’uso disturbante del bianco e nero di Eraserhead (1977).
In un periodo in cui i videogiochi tendevano a mostrare ambienti puliti e geometrici, lui ha scelto invece di sporcare le texture, di renderle macchiate e imperfette: un’estetica pensata per evocare disagio e inquietudine.
Un nuovo horror: Siren
Dopo Silent Hill, Toyama ha diretto Siren (2003, Sony), titolo che gli ha concesso una maggiore libertà creativa rispetto al passato, essendo ormai un autore riconosciuto all’interno dell’industria.
Durante l’intervista, un moderatore ha citato L’Esorcista (1973) di William Friedkin, ricordando come il regista avesse ricevuto lettere di insulti e perfino scomuniche per il suo film, chiedendo se in Giappone esistano reazioni simili a opere disturbanti. Toyama ha risposto che è raro, ma che nel contesto giapponese si presta sempre grande attenzione ai giovani per evitare fenomeni di emulazione.
Rapporto tra arte e videogiochi
Toyama ha ricordato che quando è nato i videogiochi non esistevano, e agli inizi erano considerati solo giocattoli. Col tempo, con l’espansione dei videogiocatori e la maturazione degli autori, il medium ha acquisito una dimensione artistica. Anche lui, ha detto, ha cominciato a giocare per puro divertimento, per poi scoprire in seguito il valore espressivo e culturale del videogioco.
L’importanza del suono nei videogiochi
Il suono, secondo Toyama, è una chiave emotiva che ha differenziato profondamente il videogioco dal cinema. Non deve solo accompagnare, ma far vivere le emozioni del protagonista: il suono che spinge il giocatore a dire “devo andare avanti, ma non voglio andare avanti”. È stato uno strumento per condizionare e, al tempo stesso, sottolineare le azioni del giocatore.
Come padre di Silent Hill
Toyama ha raccontato che durante lo sviluppo del primo Silent Hill il team ha vissuto un fermento creativo costante: le idee nascevano di continuo. Anche dopo la sua uscita dal progetto, i successivi capitoli hanno saputo proseguire e raffinare quello stile, mantenendo lo spirito dell’originale seppur con strumenti tecnici più evoluti.
Fare horror rende immuni alla paura?
Ha sorriso quando gli è stata posta la domanda. Ha detto di non essere affatto coraggioso: la paura è rimasta. Poi continuando a creare, ci si abitua e diventa più naturale.
Nuovi progetti all’orizzonte
Toyama ha spiegato di aver voluto proseguire su un percorso più indipendente, orientato a valorizzare la creatività del team. Ha descritto lo sviluppo indipendente come un modo per migliorare le capacità del proprio staff, mantenendo viva la bellezza della creazione collettiva.
Preservazione dei videogiochi
La domanda verteva sulla difficoltà di repereire legalmente il primo titolo di Silent Hill, relegato solo al supporto fisico della prima PlayStation, quindi un'indagine sulla preservazione del medium videoludico a discapito della tecnologia. Toyama invece si è concentrato sulla riproposizione dello stesso gioco con tecologia nuova, riferendosi al remake di Silent Hill che Konami sta sviluppando e si è detto molto curioso di vedere come verrà reinterpretata la sua eredità.
È più difficile spaventare oggi?
Le cose che non capiamo sono quelle che restano spaventose
, ha affermato. Ha raccontato di quando è arrivato in Italia da giovane tanti anni fa: guardava la mappa con curiosità e ha provato una sottile paura per ciò che non conosceva. Ora, con strumenti come Google Maps e i traduttori automatici, è più difficile provare quel senso di smarrimento, ed è una sfida per chi crea horror.
Perché i giapponesi sanno raccontare l’orrore?
Toyama ha spiegato che nella cultura giapponese l’horror e il soprannaturale sono parte integrante della tradizione, tramandati attraverso il folklore, la televisione e la letteratura del dopoguerra. È stato per lui un modo naturale di raccontare il mondo.
Cosa diverte i giocatori spaventati?
Non ha fissato una formula. Ha citato il cinema horror italiano, capace di coniugare basi storiche e raffinatezza visiva con elementi moderni. Ha detto di sentire una vicinanza tra quella sensibilità e quella giapponese: entrambe hanno trasformato la tradizione in materia viva.
Il suo videogioco non horror preferito
Ha sorriso e ha risposto semplicemente: i puzzle game
.
È sempre ammirevole il modo tutto giapponese di parlare con pacatezza e ironia. Non è stato spassoso, ma con serenità ha parlato del suo rapporto con la paura, della sua formazione e del modo in cui suono e spazio diventano strumenti per far vivere esperienze ansiogene ai giocatori.















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