La storia di Hellboy comincia nel 1944 con la cronaca di un misterioso esperimento di magia, chiamato "Ragnarok", tentato da un gruppo di nazisti e uno stregone. L’esperimento non si risolve nel modo sperato dai nazisti e attraverso il varco creatosi fra il mondo degli umani e quello infernale, passa un bambino non umano. Anzi, decisamente non umano, con tanto di corna ricurve, coda e un braccio di pietra.

Con il passare del tempo Hellboy diventa un agente del Centro per la Ricerca e Difesa dal Paranormale, una specie di corpo speciale per gli incarichi più assurdi, e comincia la sua carriera di investigatore.

In diavolo nato dalle fiamme dell'Inferno, si lima le corna per non sentirsi un disadattato, mangia quanto Pantagruele, fuma il sigaro e se ne va in giro con un rosario arrotolato al polso a combattere le forze del Male.

Quanti sono ormai i supereroi sbarcati sul grande schermo? Spider-Man di Raimi, X-Men di Bryan Singer, Hulk di Ang Lee, DareDevil, la recente Catwoman, tutti trasportati con più o meno maestria dalla carta alla celluloide. Ogni uscita di ispirazione fumettistica risveglia negli spettatori almeno la curiosità di capire se collocare il film dalla parte della lavagna intitolata ‘buoni’.

L’Hellboy di Del Toro è un buon prodotto, ma la serie a fumetti di Mike Mignola, che è anche coproduttore esecutivo e consulente agli effetti visivi, pubblicata dalla Dark Horse, avrebbe meritato di meglio.

Come è ormai consuetudine nei film di questo genere, tutto l'impianto tecnico è di ottimo livello: dagli effetti speciali, al makeup dei mostri, alle scenografie. Le musiche sono di Marco Beltrami, già noto per le colonne sonore di successi quali Scream, Resident Evil e il prossimo Io, Robot, sono accompagnate da una selezioni di canzoni di nomi noti del panorama musicale internazione, da Nick Cave a Tom Waits, e nel complesso sono un adeguato accompagnamento per le diverse sequenze del film.

Lo sforzo di Del Toro è evidente: che motivo c’è di discostarsi dall’originale e correre il rischio di modificare le condizioni che hanno decretato il successo dell’opera a fumetti? Devozione all’originale sì, ma qualche cambiamento comunque c’è stato, a partire dall’agente Myers, nuova recluta del Centro per la Ricerca e Difesa dal Paranormale destinata a prendere il posto del professor Trevor Bruttenholm; altre differenze riguardano il rapporto di Hellboy con il mondo esterno (molto popolare nei fumetti, quasi sconosciuto nel film) e soprattutto la storia d’amore con Liz Sherman.

Più che ai predecessori marveliani, il film ha punti di contatto con Men in Black: struttura simile, situazioni analoghe, protagonista potenzialmente carismatico; ma supponendo che il suddetto Centro abbia sede abbastanza vicina a quella dei Men in Black, in modo da condividerne risorse e linee guida, bisogna dire che l’ufficio Immigrazione Alieni ha tenuto per sé un pizzico in più d'umorismo e senso del ritmo.

Mentre l’agente J (Will Smith) trova nell’agente K (Tommy Lee Jones) la spalla perfetta, Ron Perlman (visto in Alien4, (Blade II, Il nome della rosa e una lunga lista di film) è il solo a fare di tutto per dare credibilità al demone rosso, riuscendovi in parte e a provare con qualche battuta a equilibrare la tenebrosa atmosfera che permea il film; ma l’Abe Sapiens, non ha niente a che vedere con l’umorismo nero di K, e anche l’agente Myers e il pur dignitoso professor Trevor non regge il confronto con Zeta (Rip Torn)

In generale sembra che tutti i personaggi nel passaggio dalla carta alla celluloide abbiano conservato bidimensionalità.

I problemi di ritmo riguardano soprattutto il tradimento delle premesse: il prologo è interessante e ben condotto, ma il film si perde nel tentativo di mordere la coda dell’immortale Sammae, lunico mostro che, infernale fenice, rinasce in duplice copia ogni qual volta Hellboy lo toglie di mezzo.

Dal varco aperto nei due mondi ci si aspetta di veder uscire un esercito di creature infernali, occorre invece aspettare la fine della pellicola per dare una sbirciatina agli Ogdru Jahad - i Sette Dei del Caos – che riposano nella loro prigione di cristallo, in attesa di prendere nuovamente possesso della Terra e bruciarne i cieli.

Le immagini dei titanici tentacoli delle creature che sbucano da nubi temporalesche e insidiano città semidistrutte sono una perfetta evocazione dell’orrore cosmicolovecraftiano. Qualcosa di Yog-Sothoth è riconoscibile anche nel mostro definitivo che impegna il nostro nell’ultimo deludente duello.

I personaggi negativi, Grigori Rasputin (Kerel Roden) in testa, si muovono privi di una reale motivazione o anche solo di una riconoscibile follia, come se avvertissero che sulle loro spalle grava parte del peso del successo.

Tre stelle comunque sono più che guadagnate per una pellicola onesta come ci sarebbe bisogno di vederne di più