- Stanotte il mare si alzerà. Sarebbe rischioso dormire a bordo. - Stavros interrogò con lo sguardo gli altri due, che annuirono in silenzio.

- Agiremo domattina all’alba. Fino a mezzogiorno. Non oltre. Se il mare si mette al brutto, le onde ci passeranno semplicemente sopra la testa. - Li fissò, sogghignando. - Saremo spazzati via.

Bruno e Giulio si erano svegliati, dopo una notte inquieta, molto prima del sorgere del sole.

Il mare sembrava calmo, per quanto potesse esserlo in quella parte dell’Egeo, e la presenza di un blando ma costante moto ondoso era tradita solo nell’istante in cui silenziose masse di acqua scura si frangevano lungo i fianchi della Kunopetra. Lontano, appena visibili sulla linea dell’orizzonte, andavano formandosi degli amassi di nuvole. Bruno rabbrividì ricordando le parole di Stavros. Poi lo videro. Aveva accostato la barca alla scogliera, e li aspettava, in piedi, fissando il mare.

- Comincerete da qui. In direzione di quella punta. Io vi seguirò con la barca.

Si prepararono velocemente, senza parlare.

Poco dopo Bruno galleggiava sospeso su un precipizio verde scuro. Allargò le braccia per prendere coscienza della situazione. C’era corrente, ma non troppa, e spingeva proprio nella direzione che dovevano seguire. Venti o trenta metri sotto di loro una piattaforma di rocce chiare.

Un ultimo gradino, poi il buio. Nonostante la scarsa luminosità del primo mattino la visibilità era ottima. Bruno osservò l’amico immergersi davanti a lui con una capriola e tornare orizzontale dieci metri più in basso.

Lo seguì. Da quel momento cominciarono a pinneggiare rasentando la parete di roccia.

Silenzio. E pace. A un tratto, vide Giulio immobilizzarsi fissando un punto in prossimità di un grande masso maculato. Guardò subito in quella direzione. Non c’era nulla di anormale, a parte una piccola nuvoletta di sabbia che tardava a depositarsi sul fondo.

“Calma, Giulio. Calma” pensò. Poi vide l’amico riprendere a muoversi con scioltezza. Un attimo, ancora, e si fermò. Con gesti sconnessi e frenetici, questa volta, cercava di indicargli qualcosa. All’inizio non vide niente. Poi ecco sbucare improvvisa dall’ombra sotto di loro una sagoma argentea. Allungata, potente, scivolò rapida tra i massi della piattaforma con elastici colpi della coda biforcuta, mentre le lunghe braccia si aggrappavano alle rocce, spingendo con forza il latteo busto in avanti. Saettando, filò tra i cespugli di poseidonie e le ombre del fondo verso la parete della Kunopetra. La videro sparire, scodando, in una caverna che si apriva proprio nel punto in cui la muraglia incontrava la piattaforma di rocce chiare. La profondità non superava i trenta metri. Bruno non perse la calma. Assicurò saldamente un’estremità di una lunga sagola, arrotolata a un mulinello, all’ingresso della caverna: era il filo d’Arianna, indispensabile per le immersioni nelle grotte. Entrarono. Subito si resero conto che l’interno non era affatto ampio, ma appena sufficiente per poter girare e tornare indietro. Giulio avanzava sciabolando il fascio di luce della torcia contro il soffitto e le pareti del cunicolo, seguito da Bruno che faceva scorrere la sagola fosforescente, assicurandosi ogni tanto con un leggero strappo che non si fosse impigliata in qualche protuberanza della roccia.

Procedevano così da qualche minuto, quando incontrarono un masso crollato dalla volta che ostruiva buona parte del passaggio. Senza esitare Giulio cominciò a incunearsi nel vano rimasto libero a ridosso del soffitto. Bruno fu costretto a aiutarlo guidando con la mano la rubinetteria delle bombole perché non rimanessero incastrate nelle sporgenze della volta.

Attutito, irreale, il rumore del metallo che raschiava sulla roccia si insinuò nella testa di Bruno come un grido d’allarme.

“Dovevamo tornare indietro” pensò. Ma non lo fecero.

Oltre il masso, il cunicolo procedeva buio e immutato. Il movimento ritmico delle pinne di Giulio nel pulviscolo sbiancato dalla luce della torcia esercitava un potere quasi ipnotico. Bruno si scosse solo quando, controllando il mulinello, realizzò che erano rimasti solo pochi metri di sagola. Doveva avvertire l’amico. Subito. Ma accadde qualcosa di inatteso.

Le pinne di Giulio scalciarono violentemente all’indietro, per poi iniziare a pedalare furiosamente addentrandosi nel buio. Non gli restava che seguirlo. Il cunicolo piegava bruscamente a sinistra, restringendosi. Sentì uno strappo. Il mulinello gli sfuggì di mano: la sagola era finita.