Decise di proseguire, accelerando la pinneggiata, finché quasi non andò a sbattere con la maschera contro le pinne di Giulio. In quel punto il cunicolo era talmente stretto che soltanto rinculando sarebbe stato possibile tornare indietro. Ma lo aveva raggiunto, e lo afferrò per una caviglia.

La sensazione di stringere un pezzo di legno. La gamba era irrigidita.Come morta.Una sincope, forse. Si rifiutò di pensare a altro. Provò a tirarla disperatamente verso di sé con una mano mentre con l’altra cercava ogni appiglio possibile per non scivolare in avanti. I suoi movimenti avevano perso ogni coordinazione, erano frenetici e concitati, sbatteva nella roccia con le bombole, con le pinne, con la torcia. A un tratto accadde qualcosa che gli gelò il sangue.

La gamba dell’amico, inerte, cominciò a sfuggirgli di mano.

Una forza invisibile la attirava lentamente dall’altra parte. Qualcosa stava risucchiando Giulio nella bocca oscura del cunicolo. Poi una nuvola colorata esplose davanti a lui. Presto l’intero cunicolo ne fu invaso. La luce baluginante della torcia accendeva nell’acqua densa e bruna striature rosso vivo.

Ancora una volta Bruno si sforzò di non pensare. Almeno fino al momento in cui un piccolo oggetto sferico cominciò a galleggiare davanti alla sua maschera. Avrebbe dato qualsiasi cosa, per non averlo visto. Mai. Un globo oculare strappato dall’orbita. Doveva salvarsi. Tentò di riprendere possesso dei suoi movimenti e, con cautela, cominciò a rinculare nella galleria. Sentì le pinne sbattere contro le rocce, e capì di essere giunto al punto in cui il passaggio piegava verso l’uscita. Sfruttando lo spazio più ampio riuscì a voltarsi e a recuperare la posizione più adatta alla fuga. Presto il profilo tondeggiante del masso e di nuovo, assordante, lo stridere delle bombole contro la volta di roccia. Infine, nel buio, una fenditura verde opalescente. L’apertura della caverna . La raggiunse di slancio.

Era fuori, lo sguardo puntato verso l’alto. Dov’era finita la barca? Cercò il suo profilo tra le ombre potenti delle onde che solcavano la superficie, ma non lo vide. Quando ricordò. La decompressione. Altrimenti rischiava l’embolia. Non aveva scelta. Doveva aspettare.

Immobile, fissava l’apertura della caverna con un’attenzione esasperata, quasi dolorosa, a cui partecipava ogni minima terminazione nervosa del suo corpo. In attesa. La percezione beffarda di sé come di un’enorme esca sospesa davanti alla tana del predatore.

Poi lo sentì. In alto, dalla superficie, il ronzio di un motore. Il tempo era trascorso. Poteva risalire.

Al limite del suo campo visivo, appena percettibile, un movimento saettante ed argenteo dall’imboccatura della caverna. “Non voltarti indietro” si impose, concentrandosi sulla sagoma allungata e beccheggiante della barca, esattamente sopra di lui.

Riemerse tra onde alte e buie, sferzate dal vento. Il fianco di legno dell’imbarcazione era pericolosamente vicino, quasi incombente.

Fu così che li vide. Allineati sotto le lettere azzurre che componevano il nome "GORGONA", GORGONA, tracciati con un’ingenuità quasi infantile, gli stessi segni incisi all’entrata della grotta sulla montagna.

- Vieni, gorgona, è per te. - Fu quello che disse Stavros, sporgendosi dal parapetto, prima di colpirlo con un pesante arpione di ferro.