E’ grazie a lui, che l’Italia negli anni settanta conobbe il termine “merchandising”. Sì, perché quando arrivò sui nostri schermi era già una star in diverse parti del globo, e i gadget che lo accompagnavano come una sorta di aura gloriosa avevano bisogno di un marchio depositato contro le contraffazioni.. Per noi che negli stessi anni eravamo bambini fu un mito come pochi altri, perché difendeva la nostra patria-terra dagli attacchi dei cattivoni di Vega, e ancor più perché liberò la “tivù dei ragazzi” da tutti quegli atroci, tragici “cartoni animati intelligenti” che infestavano il palinsesto di mamma Rai. Provenivano per lo più dall’est europa, erano fatti col pongo o con la carta e avevano dei commenti musicali che avrebbero dato dei punti a Stockhausen.

Con lui ci fu una sorta di indipendence Day, che non mancò di far scattare le solite indignate reazioni di tutti quei dietrologi-a-contratto che scrivevano sui giornali più chic. Chi non l’ha capito? Stiamo parlando di Goldrake, ovvio. Però in questo momento ci tengo a precisare che quello che mi sta davanti non è Actarus, il pilota originario della Stella Fleed distrutta da Vega esule sulla terra, ma proprio lui, il Robot con la sua inconfondibile foggia da samurai futuribile. Ha i modi franchi e un pochino sbrigativi tipici degli uomini d’arme; non sembra avvezzo, cioè, a perdersi in ragionamenti fumosi, ma anzi si direbbe che l’abitudine a conquistarsi giorno per giorno il diritto di vivere menando le mani gli abbia sviluppato una certa idiosincrasia per tutti quei concetti che non sono empiricamente verificabili.  

Actarus
Actarus

Già, proprio come quella parola…

Quale parola, messer Goldrake?

Idiosincrasia. Mi dice che bisogno c’è di dire idiosincrasia? Non è più semplice dire che sono abituato a parlare come sono capace, cioè in modo semplice ma chiaro?

Mi perdoni, l’abitudine ci fa usare le parole in modo a volte meccanico.

Che vuole, come ha detto lei io sono un guerriero di professione, e con certe sottigliezze non ci sono mai andato molto d’accordo, soprattutto quando sono proprio esse a dirigersi contro di me come delle frecce esplosive. Io sono abituato a combattere contro gli invasori, a alzarmi la mattina e compiere il mio sacrosanto dovere ogni giorno che la Provvidenza manda in terra, ma a tener testa a certi scribacchini che sembrano essere stipendiati apposta per vedere complotti e apocalissi dappertutto proprio non ce la faccio. Io so manovrare le lame rotanti, ma contro certe penne avvelenate sono inerme, e voi in Italia avete le più tremende!

Capisco, si riferisce alla campagna stampa che proprio in Italia la sbatté in prima pagina come mostro del momento. Ma ricostruiamo con ordine, se permette…

Sì, andiamo con ordine. Lei ha cominciato bene: si ricorda com’era la tivù per bambini in Italia, prima che arrivassi io? Mi sembra che se la ricorda molto bene, no?

Ribadisco: erano gli anni dei tragici cartoni dell’est. Negli anni settanta non bastavano i telegiornali che davano notizia di almeno un morto ammazzato al giorno, ma anche quella dannata mezz’oretta riservata a noi giusto nel momento in cui più o meno si erano finiti i compiti non poteva essere una mezz’ora di puro svago; questo per via di quello stoicismo apparente diffuso, che vietava di sorridere anche all’omino delle previsioni del tempo. Questo senza contare che siccome fioccavano gli scioperi, spessissimo appariva qualche signorina che con ghigno sadico annunciava: “A causa dello sciopero quest’oggi la tivù dei ragazzi non andrà in onda…”
Hanna e Barbera
Hanna e Barbera

Già, perché in ogni vertenza sindacale che si rispetti a soccombere era la classe più debole, e nel popolo televisivo la classe più debole eravate voi bambini, ah ah!Però cerchiamo di non essere parziali: il problema non erano solo i catoni animati “intelligenti”. Si ricorda i fantascientifici di Hanna e Barbera, per esempio? 

E’ uno dei ricordi più strazianti che ho…

Il plot, se di plot si può parlare, era sempre lo stesso: nei primi cinque minuti la città era messa a soqquadro da un terribile criminale dotato di super poteri, che combinava sfracelli e se la rideva di gusto allo sgomento dei cittadini. Poi quando un bel po’ di danno era stato combinato, e mai un attimo prima, qualcuno si metteva col naso all’insù e puntava il dito nel cielo annunciando trionfante l’arrivo del supereroe di turno; il quale nell’ordine e invariabilmente arrivava, cacciava il cattivo a cornate e se ne fuggiva in cielo tra squilli di vittoria e mani osannanti. Erano, insomma, orrori senza storia, senza psicologia, senza sentimenti; sembravano fatti apposta per una gioventù da boom economico della stupidità. Si ricorda come erano gli sfondi?  

Certo, erano una riga; giusto per distinguere le due dimensioni principali…

Eppure contro tali brutture nessuno mai alzò il dito, non è vero? Io e Mazinga, e Jeeg e tutti gli altri portammo una vera boccata d’ossigeno nell’angustia di quel panorama, nessuno sano di mente può negarlo. I nostri personaggi erano veri; si arrabbiavano, si innamoravano, piangevano per la scomparsa di un amico in battaglia, e, cosa inaudita, dormivano, mangiavano e bevevano!  

Sottoscrivo in pieno, le vostre storie furono finalmente pane per i nostri denti bramosi di avventura, e si rivolgevano in pari misura ai nostri cuori come alle nostre menti.
Mazinga
Mazinga

Ma allora perché i vostri intellettuali se la presero tanto con me?! Si rende conto che ci fu persino un’interrogazione parlamentare per bloccarmi? Ma dico: è inaudito! Le testate dei settimanali d’opinione scattarono come a un segnale predeterminato e si misero a indicarmi come la causa di tutti i mali: in pratica, secondo loro, se i giovani si drogavano, negli anni settanta, la colpa era mia! E loro nel fenomeno della droga non c’entravano niente? Loro che magari recensivano entusiasti l’ultima traduzione italiana di Huxley o di Burrroughs o di Leary; loro che scrivevano libri sulle “società degli appetiti”; loro che si spellavano le mani ad applaudire cantautori o jazzisti o teatranti o cineasti pieni di droga fino agli occhi, proprio loro dicevano che la causa della droga ero io! Non è folle?  

E’ folle ma anche in mala fede: urlare alla catastrofe prossima ventura fa vendere notoriamente più copie, e se poi si può usare qualcuno come capro espiatorio è anche meglio.