La collina dei conigli è un libro tre volte fantastico.

Fantastico lo è, ovvio, prima di tutto per il contenuto: un coniglio sensitivo riesce a convincere i suoi compagni a lasciare le loro tane per cercarne di nuove, altrove.

Fantastico lo è perché questa è la parola che si urla, piangendo, dopo aver chiuso il libro. Dopo aver penato l’avventura di una vita insieme al saggio Moscardo, al mistico Quintilio, al marziale Parruccone, al grande affabulatore Dente di Leone. E ci si può abbandonare all’abbraccio del nero Coniglio della Morte.

Fantastico, infine, è il tipo di fenomeno che ha sempre luogo ovunque si abbia a che fare con questo libro. Provate a ordinarlo in libreria, provate a leggerlo su un autobus o a citarlo distrattamente durante una conversazione mondana: vedrete persone, con visi luminosi e sguardi commossi, avvicinarsi verso di voi per dirvi che anche loro l’hanno fatto! Hanno letto La collina! Sì, perché, se esiste veramente un libro la cui lettura può cambiare la vita, si tratta proprio del capolavoro di Adams.

 

Come è possibile l’esistenza di un libro del genere? Quale alchimia costituisce il suo segreto?

Lanciarsi alla ricerca di questo Graal è un’impresa disperata che non farebbe altro che portare dalle parti del vago. È ragionevole dire che riuscire a raccontare, con l’eleganza di un Stendhal, la precisione di uno storico e l’accoramento di chi i fatti li conosce per averli visti, le vicissitudini di un gruppo di conigli alla ricerca di una terra promessa è, in sé, un fatto geniale.

È inevitabile notare che è un libro scritto in maniera strepitosa. Una voce densa, affascinante. Un classico che non ama ostentarsi tale. Chi sa riconoscere la bellezza non può resistere all’incanto di queste pagine. Ma anche tutto ciò non basta per comprendere La collina dei conigli. È un’avventura epica, in cui le passioni primordiali della caccia, della riproduzione, della guerra, della vittoria e della sconfitta vengono messe sotto la lente di ingrandimento, giocando, contemporaneamente, l’azzardo di analizzare la psicologia di ogni singolo personaggio.

Cosa c’è dentro? L’Iliade, Guerra e Pace, l’Odissea, l’Esodo, l’Eneide.  Ma basta dire questo? Possiamo andare oltre: La collina dei conigli contiene tutto il mondo, tutti i sentimenti che è possibile esperire, tutti gli archetipi ostentabili, tutte le storie possibili. Perché è anche un libro che contiene tutti i libri. Una lettura infinita come Le mille e una notte.  Ma ancora, è chiaro, non cogliamo il punto. Quindi, di nuovo: cosa rende La collina dei conigli un libro unico? Proviamo a vederlo.

 

Richard Adams è conosciuto soprattutto per aver scritto questo romanzo, sebbene sia autore di altri  libri non meno di successo, scritti in punta di penna, ricchi di cultura e emozioni, come La valle dell’orso e I cani della peste, per citarne due fra i migliori. Una ventina di libri, di cui molti non tradotti in italiano, scritti con la giusta lentezza, a partire dai cinquanta anni di vita. Adams, infatti, è arrivato con calma alla scrittura, in virtù di un precocità rimandata, direbbe Sciascia.

Forse è questa la chiave: la precocità rimandata, la genialità fatta alchemicamente cuocere a fuoco lento. La lenta, difficile discesa nella concretezza di un’intuizione poetica. Solo chi conosce questa lentezza sa, come Adams e come Dante Alighieri, che la realtà è un serto di simboli e che ogni metafora viene al mondo già rivestita di esatti contorni. Sa, perché ha imparato a osservare.  

Solo gli anni e l’esperienza possono donare a un uomo la profondità e la sicurezza necessaria a fare dell’elencazione qualcosa di più di uno sfoggio di parole difficili. In Adams l’eco permanente del lussuoso e selvaggio catalogo omerico, dell’orientale mostra di ricchezze, della confessione di stupore di Whitman, diviene puro amore della parola. Qui la parola torna a essere l’azione magica, adamitica, di nominare per creare; l’azione primordiale del bambino che impara le parole perché si diverte a ripeterle. Solo la convinzione (tipica di chi ha già vissuto tutto) che tutto è vissuto per finire in un libro, rende capace di raccontare una storia in cui si raccontano tante storie, ognuna delle quali piena di storie. E via all’infinito.

L’Infinito, il labirinto, lo sguardo rivolto indietro di Orfeo, la forma circolare del continuo ripiegamento sulle stesse storie di vittorie e sconfitte: questa è l’anima, rappresentata come labirinto; che ama le cose antiche; che vive delle proprie manie e conflitti.

Il segreto di questo libro, forse, è che rende possibile a un’anima di leggere, sulle proprie pagine, direttamente se stessa.