E’ stato promosso da Alacrán come un “fantasy metropolitano”. Ma: cosa si cela davvero dietro questa definizione?

Siamo andati a chiederlo all’autore.

Caro Luca, benvenuto su FantasyMagazine. Ti è mai capitato di curiosare da queste parti?

Molto spesso. Anche se non mi si potrebbe definire un lettore regolare – in realtà non sono regolare davvero in nulla, anzi vivo posseduto da una cronica incapacità di perseguire con ordine qualunque cosa mi capiti di fare… – conosco FantasyMagazine da tempo e torno di frequente a leggerne gli articoli, che non mi deludono mai quanto a qualità e aggiornamento.

Spero non ti dispiaccia se partiamo subito dalla domanda topica, o meglio: quella che di cui più si è discusso nel nostro forum. Abbiamo dato la notizia di Pentar, alla sua uscita. E ci siamo chiesti cosa voglia dire “fantasy metropolitano”. Se questa dicitura – ammettiamolo: “intrigante” – abbia un suo fondamento, o se sia piuttosto una trovata editoriale. Nel frattempo, il tuo romanzo è stato letto da vari amici di FM, me compreso. Se ne è parlato di te in modo positivo. E’ piaciuto, per ragioni anche differenti tra loro. Ciò che ha diviso è semmai la possibilità di definirlo un fantasy, o meno. Cosa ci spiega Luca Tarenzi, a riguardo?

Senza dubbio non è un fantasy nel senso classico del termine. In qualche occasione ho sentito dire che sarebbe più corretto definirlo un romanzo fantastico piuttosto che un fantasy: ma, francamente, “Pentar – Un romanzo fantastico metropolitano” non sarebbe stato granché come titolo!… Scherzi a parte, nel mondo anglosassone esiste da tempo la definizione “urban fantasy”, che viene applicata alle opere di autori come Neil Gaiman e Jim Butcher: penso che “fantasy metropolitano” potrebbe esserne considerato l’equivalente nella nostra lingua.

In “Pentar” non ci sono elfi o draghi, quindi non è un fantasy alla Tolkien, ma non è nemmeno un romanzo di fantascienza, con descrizioni di un possibile futuro e tecnologie non ancora inventate; e non lo si può definire nemmeno un tecno-fantasy, che implicherebbe la coesistenza di magia e tecnologia. Insomma la necessità di dargli una definizione di genere mette un po’ in difficoltà anche me... Ma è poi così stringente questa necessità? Mentre lo scrivevo non mi sono mai soffermato a pensare se stavo producendo un fantasy o meno, e mi sembra strano iniziare a farlo adesso: preferisco sul serio lasciare il giudizio ai lettori, che, quando si tratta di libri, sono l’unico “tribunale” la cui opinione conti davvero.

Ma il tuo rapporto il fantasy, qual è?

Lo leggo fin da quando sono stato in grado di tenere in mano un libro, o quasi. E considerato che ho toccato i 31, ormai fanno almeno 20 anni… Per molto tempo è stata la parte quantitativamente più consistente delle mie letture, anche se dopo la fine dell’adolescenza è passato in secondo piano rispetto ad altri generi. Ma non ho mai smesso di seguirlo con attenzione, e confesso che anche oggi sono felice esattamente come a 16 anni quando scopro un nuovo autore che riesce a emozionarmi.

Nella quarta di copertina del volume, l’editore promuove Pentar nominando Philip K. Dick e Neil Gaiman a riferimento. Ci sono elementi dei due autori in questione presenti, in qualche modo, nella tua narrativa? E se sì, quali?

Essere accostato a Dick e a Gaiman mi lusinga enormemente, ma mi mette ancor più in imbarazzo: loro sono aquile, io una quaglia!... Di Dick ho letto – colpevolmente - molto poco, quindi sui punti di vicinanza tra “Pentar” e le sue opere devo fidarmi del giudizio altrui. Gaiman invece lo leggo e lo apprezzo, ma non l’ho tenuto presente come modello nella stesura del mio romanzo, o almeno non consciamente. Tuttavia mi rendo conto che esistono somiglianze tra molti elementi cari alla sua narrativa e i caratteri fondamentali di “Pentar”: il già citato setting metropolitano, l’indebolimento del confine tra “naturale” e “soprannaturale”, il rapporto che si può instaurare tra uomini comuni del giorno d’oggi e creature straordinarie. Ho letto su FantasyMagazine che qualcuno ha trovato “Pentar” molto somigliante ad “American Gods”, al punto da domandarsi se per caso avessi tratto ispirazione – o copiato – da quel libro: mi dichiaro innocente rispondendo che, sebbene sia stato pubblicato solo nel 2006, “Pentar” è stato scritto anni fa, decisamente prima che “American Gods” arrivasse in Italia.

Puoi raccontarci qualcosa di più della trama?

In sostanza “Pentar” è la storia di una divinità, che torna a visitare il mondo dei mortali dopo una lunga assenza e si lega per caso in amicizia a uno studente universitario. Quando questi muore in un incidente stradale che a tutta prima sembra un suicidio, Pentar, suo malgrado, non sa darsi pace e finisce per farsi coinvolgere in un’indagine sull’accaduto, che lo porta a legarsi a un nuovo amico umano e a scoperchiare una vicenda di cui l’incidente era solo la punta dell’iceberg, un piano segreto che coinvolge dèi, mortali e una nuova tecnologia che potrebbe cambiare per sempre gli equilibri del nostro pianeta.

E dei personaggi?

Una volta William Gibson – se non ricordo male – ha detto che nei suoi primi libri ogni autore è estremamente autobiografico: anche senza volerlo l’ho preso in parola, perché buona parte dei personaggi di “Pentar” sono ispirati, sia nella descrizione fisica che nel tratteggio caratteriale, a persone che ho realmente conosciuto. In sostanza quello che ho fatto è stato “catturare” le persone che mi sono vicine e cercare di immaginare come avrebbero reagito se gettate in mezzo agli avvenimenti che racconto nel romanzo. E, lo confesso, è stata un’operazione estremamente divertente.

L’idea per Pentar, come romanzo, quando e come è nata?

E’ successo anni fa, quando vivevo in un altro mondo e in un’altra vita rispetto a oggi. La gente di solito sorride quando racconto come ho avuto l’idea, e ho l’impressione che il più delle volte non mi creda: lo spunto fondamentale di “Pentar” viene da un sogno. Tutte le linee fondamentali della storia erano presenti, incluso il nome del protagonista. Quando mi sono svegliato ho raccontato con un certo divertimento la cosa a mia moglie – all’epoca non eravamo ancora sposati – e lei mi disse subito “Scrivilo!”. A quel tempo facevo un altro lavoro e avevo tutto per la testa meno che mettermi a giocare al romanziere dilettante, ma l’idea era tenace, non smetteva di tormentarmi e, con mia moglie che le dava man forte, alla fine ho dovuto cedere.

Puoi dirci, stando attento a non svelare nulla che possa rovinare la trama ai futuri fruitori del tuo romanzo, cosa ti piacerebbe restasse di più al lettore, di Pentar?

L’impressione di aver letto un bel libro, ovviamente, ma ancor di più sono felice quando un lettore mi dice di aver apprezzato il messaggio che ho cercato di trasmettere nel romanzo, ovvero la riflessione sul tema del potere e della responsabilità, che io trovo terribilmente attuale. La domanda fondamentale che cerco di porre in “Pentar” è: chi ha il potere di cambiare le cose, ha il dovere e/o il diritto di usarlo?

Pentar è uscito l’anno scorso. Sei soddisfatto di ciò che hai raccolto in questi mesi, in termini di riscontro di pubblico e critica?

Direi proprio di sì, proporzionatamente all’entità della tiratura e della diffusione. Anche la casa editrice lo è, e infatti per gennaio è prevista l’uscita di una nuova edizione del romanzo, ricopertinata e aggiornata nella veste grafica, pensata per una diffusione più vasta della prima tiratura.

Hai una Laurea in Storia delle Religioni. Non è un percorso universitario che si sceglie a caso…

Ho sempre amato la religiosità, in tutte le sue forme. Persino per chi non ha un percorso religioso personale, le religioni a cui l’umanità ha dato vita nel corso della sua storia appaiono come una multiforme, stupefacente espressione dello spirito umano, a mio giudizio perfettamente paragonabile all’arte. E, parlando con lettori che amano il fantasy, credo proprio di sfondare una porta aperta. La religione, vista soprattutto dalla sua prospettiva umana, è senz’altro il tema più ricorrente nei miei scritti.

Conti di tornare al fantasy? Se sì, sarà in una forma nuovamente originale, contaminata, o invece più “canonica”?

Quasi tutto quello che scrivo ha carattere fantastico, nel senso che contiene almeno un elemento appartenente al mondo del soprannaturale e/o dell’immaginario, che si tratti di luoghi, situazioni, creature o avvenimenti. Tuttavia al momento non ho in progetto opere di fantasy “canonico”: il nuovo romanzo che sto scrivendo - e che spero di riuscire a completare in primavera – condivide con “Pentar” un’ambientazione urbana, ma con una dose più massiccia e più esplicita di soprannaturale e un tono dichiaratamente più leggero.

Alacran è un editore piccolo, ma molto attivo e senza riserve o pregiudizi: il suo catalogo va dal genere puro alla palese contaminazione, con qualche concessione al letterario. Ha quindi pubblicato anche altre opere intrise di elementi fantastici: penso alla raccolta di Cristiana Astori (“Il Re dei Topi e altre favole oscure”), all’antologia “Roma fantastica”, curata da Gianfranco de Turris, a “Tra di noi – Storie vecchie e nuove di soprannaturale urbano” di Carlo Oliva, o ancora al thriller con elementi fantascientifici di Mariella Dal Farra (ALMA). Tu, come sei approdato ad Alacran?

Davvero per caso, o forse per felice destino. Nel 2005 ho accompagnato un’amica alla presentazione di un libro Alacran e nel corso della serata, chiacchierando del più e del meno con il redattore capo Andrea Carlo Cappi, è saltato fuori che anche io scrivevo: Andrea mi ha chiesto di leggere qualcosa, e io gli ho passato “Pentar”.

Vuoi citare qualcuno tra i tuoi autori preferiti?

Nel campo del fantasy la mia leggenda personale è Stephen Donaldson: sono fermamente convinto che il suo ciclo sul personaggio di Thomas Covenant sia uno degli affreschi più profondi e più grandiosi che la letteratura fantastica abbia prodotto negli ultimi trent’anni. Ho letto il suo primo libro qualcosa come quindici anni fa, e da allora non ho mai trovato un autore che potesse stargli al pari. Altri che amo molto sono Celia S. Friedman, Barbara Hambly e, più recentemente, Jacqueline Carey e il bravissimo Jim Butcher (tristemente mai approdato in Italia sebbene negli Stai Uniti balzi spesso in vetta alle classifiche). Quand’ero più giovane mi piacevano David Gemmell e Terry Brooks, ma ormai non li leggo da anni. Nel campo della fantascienza mi piacciono Robert Silverberg, Ursula LeGuin, Roger Zelazny e Dan Simmons. Tra gli autori italiani di letteratura fantastica cito senz’altro Valerio Evangelisti – soprattutto nei suoi primi romanzi – e Cristiana Astori, che oltre a essere una cara amica è una creatrice acutissima di storie splendide e terribili.

Siamo puntualmente arrivati alla “classica” domanda che precede la chiusura d’intervista: prossima uscite e/o progetti in corso?

Nel gennaio 2008 la seconda edizione di “Pentar” accompagnerà l’uscita del mio nuovo libro, una raccolta di racconti intitolata “Il libro dei peccati”: si tratta di un insieme di storie di generi diversi – un horror, un giallo storico, un racconto comico-grottesco, una “fiaba nera” etc. - accomunate dall’avere tutte come temi centrali la colpa, le sue conseguenze e, qualche volta, la redenzione. Tra i progetti in lavorazione c’è invece il romanzo a cui accennavo sopra, che racconterà le avventure dell’angelo caduto Azazel, demone pigro e scanzonato che, dopo essere stato mandato in missione sulla Terra, si è auto-dichiarato in vacanza a tempo indeterminato e si rifiuta di far ritorno all’Inferno (perché, tra le altre cose, “lì il clima fa schifo”). Intorno a lui c’è un mondo fatto di panchine e parchi di periferia, bar fumosi, centri commerciali congestionati, dove alla gente comune si mescolano angeli in sciopero, truffatori immortali e satanisti disoccupati, che Azazel affronta armato soltanto di un’incredibile faccia tosta e una conoscenza incomparabile dell’eterna stupidità umana. A scadenza più lunga vorrei tornare di nuovo alla “narrativa seria” – mortalmente seria - e stendere un libro che ho in mente da tempo, ambientato nel mondo delle società esoteriche nell’Inghilterra vittoriana.

Caro Luca, è il momento di salutarci. Grazie per aver risposto alle nostre domande. Beninteso: è un arrivederci, però…

Senz’altro! Non dubito che continuerò a seguire FantasyMagazine con la mia “regolarità irregolare”, e se qualcuno dovesse commettere di nuovo il peccato di leggere i miei scritti, sarò assai curioso di raccogliere gli eventuali pareri sulle vostre pagine. Grazie a tutti voi, è stato un vero piacere conoscervi!