“Nel futuro la specie umana sta scomparendo. Un'altra razza, aliena, potente e intelligentissima, ha preso il sopravvento, e i pochi umani rimasti vivono raccolti in piccole comunità di fuggiaschi. Tra loro c'è Jared, l'uomo che la giovane Melanie, da poco caduta nelle mani degli "invasori", ama e non riesce a dimenticare. Neppure adesso che il suo corpo dovrebbe essere niente più di un guscio vuoto, un semplice involucro per l'anima aliena che le è stata assegnata. Perché l'identità di Melanie, i suoi ricordi, le sue emozioni e sensazioni, il desiderio di rincontrare Jared, sono ancora troppo vivi e brucianti per essere cancellati.”

 

“Così l'aliena Viandante si ritrova, del tutto inaspettatamente, invasa dal più umano e sconvolgente dei sentimenti: l'amore. E, spinta da questa forza nuova e irresistibile, accetta, contro ogni regola e ogni istinto della sua specie, di mettersi in cerca di Jared. Per rimanere coinvolta, insieme a Melanie, nel triangolo amoroso più impossibile e paradossale, quello fatto di tre anime e due soli corpi.”

 

L’ospite (The Host, 2008) di Stephenie Meyer, è la prima prova dell’autrice nel campo per lei tutto nuovo della fantascienza. Dopo tre romanzi dedicati ai vampiri e al mondo dell’horror virato nel più classico romance, ecco un improvviso cambio di rotta. Le tematiche sono quelle care all’autrice nata a Hartford, nel Connecticut, nel 1973: prima di ogni altra cosa, l’amore. Le Meyer aveva già dato prova di saper narrare di relazioni non proprio usali nella sua primissima esperienza letteraria, il caso editoriale Twilight. Ora ci riprova, con un azzardo in più.

Non ci sono altre tematiche fondamentali nei libri di Stephenie Meyer, si potrebbe spogliarli di tutto e resterebbe sempre e comunque questo tema chiave: un amore difficile, magari tra un’umana e un vampiro, e in questo caso ancora più intricato. Tra un’umana, imprigionata nel proprio corpo da una creatura aliena che tuttavia resta offuscata da sentimenti mai sperimentati prima. Sentimenti che la condurranno su di una strada nuova, inedita, che mai avrebbe creduto di poter vivere dopo milioni di anni dalla sua nascita. 

 

Se ad alcuni può far sorridere questo volersi sforzare della Meyer sul tema romantico, che sia per ragioni di puro marketing o, al contrario, per vero desiderio narrativo dell’autrice, resta l’innegabile fatto che la prosa pulita e diretta dell’ideatrice della saga di Twilight difficilmente lascia indifferenti. Come in questo caso, può scrivere quasi 600 pagine di romanzo, con ambientazioni scarne all’inverosimile e trame non così complesse, eppure riuscire nell’intento: intrattenere il lettore come di rado accade. 

 

I suoi romanzi hanno un’impronta chiara, decifrabilissima. Pochi luoghi,

mai troppo caratterizzati o particolari. Scarni, verrebbe da dire. Una foresta, una grotta, un appartamento da poco affittato, la sterile sala di un ospedale. Quello che sorprende è come in così poco “spazio” riesca a tessere storie tanto voluminose e articolate da permetterle di creare un doppio intreccio narrativo come nel caso di questo volume, L’ospite

 

I personaggi sono per età e caratteri più maturi rispetto ai giovani adolescenti della saga di Bella e Edward, ma situazioni al limite li portano a riconsiderare sotto un nuovo punto di vista l’amore, come la vita e il suo senso più profondo. In questo le tematiche della Meyer sono più o meno sempre le stesse. Qui al posto di Bella c’è Viandante, prima nella sua entità di aliena parassita (un’anima, come l’autrice chiama questa particolare razza aliena capace di innestarsi nei corpi di altri esseri viventi) che viene innestata nel corpo di Melanie, una ragazza appena ventenne che a lungo andare convince e spinge l’entità che l’ha occupata a mettersi sulle tracce della sua famiglia, dell’uomo che ama, Jared, e del fratello che ha perso, Jamie. Un viaggio che porterà Viandante a modificarsi, a cambiare se stessa come i propri valori, a convivere con Melanie e i suoi sentimenti in mezzo a un continuo flusso di pensieri e sensazioni, e che infine la condurrà al cambiamento ultimo: il modificare il proprio nome in quello di Wanda, dando vita a un’entità relativamente nuova, non proprio aliena ma nemmeno propriamente umana (e dando vita a un gioco di parole che con la traduzione italiana va irrimediabilmente perso: Viandante, da Wanderer, al vezzeggiativo Wanda). 

 

Twilight
Twilight
Il motto della Meyer potrebbe essere: «i grandi sentimenti cambiano, e fanno cambiare». Sicuramente è maestra indiscussa in questo genere di storie, con buona pace dei detrattori che vedono questi romanzi solo come storie per giovani adolescenti, infarcite di tutti i cliché possibili e immaginabili, non arrivando a cogliere la difficoltà che sta dietro il creare un’emozione complessa e fissarla nero su bianco (come se tutti ne fossero ovviamente capaci, e a questi livelli).  Stephenie Meyer ci riesce ottimamente. E’ un’autrice di emozioni, non le importa d’altro. Non avrà l’epicità di George R.R. Martin, la fantasia di J.K. Rowling e nemmeno la profondità psicologica di Marion Zimmer Bradley, ma riesce magnificamente nel suo intento: raccontare un’emozione al meglio. Il suo pubblico, sempre più vasto, la ripaga per questa abilità. 

 

Il libro tuttavia ha a nostro avviso anche delle pecche. Soprattutto a metà c’è un cedimento nel ritmo narrativo. Per oltre un centinaio di pagine assistiamo al conflitto interiore ed emotivo di Viandante portata a esasperare ogni azione, sentimento, e messaggio verbale e non verbale che le arriva dall’ambiente in cui è costretta a vivere, a contatto con gli esseri umani. Questo rallenta molto lo scorrere degli eventi, tanto da farci pensare che quelle pagine siano puramente accessorie e in definitiva necessarie solo a rimpolpare certi passaggi narrativi. Dopo un inizio interessante, e una serie di scene centrali meno brillanti, il romanzo nelle ultime 200 pagine riprende un ritmo invidiabile e la storia acquista spessore.

Interessante è invece il bagaglio culturale che la Meyer crea per Viandante. Un’anima che ha vissuto su otto pianeti differenti, prima di sbarcare sulla terra. L’autrice con questo escamotage non solo dà al suo personaggio una quantità di informazioni sorprendenti e necessaria per il buon svolgimento della storia, ma permette in definitiva al suo romanzo di cambiare velocemente registro narrativo, sfiorando il genere fantasy o horror. Questa è senza dubbio un’altra qualità dei libri della Meyer, mai incasellabili per davvero. Il genere? Poco importa. E’ solo un pretesto per raccontare una storia. Non saranno mai fantascienza o horror puri, non è questo che interessa all’autrice, e si vede. Le interessa raccontare le emozioni dei suoi personaggi. E questo a discapito di tutto il resto, anche di finali più credibili e meno “romantici”.

Con L’ospite la Meyer aveva l’occasione di concludere il romanzo senza il

Il quarto e più recente romanzo del fortunato ciclo di romanzi di Stephenie Meyer
Il quarto e più recente romanzo del fortunato ciclo di romanzi di Stephenie Meyer
consueto lieto fine ma, potenzialmente, con un ben più complesso e agrodolce finale. Bastava concludere il romanzo una trentina di pagine prima. L’autrice però non lo fa, e ricerca un happy ending che suona forse un po’ forzato. Una buona occasione sprecata? Pensando che questo romanzo è stato presentato come autoconclusivo, sì. E in effetti il romanzo si chiude senza lasciarci bisogno di dover leggere altro. Però l’epilogo è chiaramente velato, nulla di davvero definivo tanto da darci l’impressione di un seguito. Il lettore sa che, volendo, l’autrice potrebbe senza sforzo scrivere altri volumi. Ed è proprio così, l’impressione ha difatti trovato conferma. L’autrice avrebbe già in lavorazione due seguiti per L’ospite. The Soul (L’anima) e The Seeker (Il cercatore).

In definitiva una prova interessante quella di Stephenie Meyer, che si dimostra a suo agio in qualsiasi contesto la si voglia immergere; e forse, c’è da dirlo, perché in grado di stravolgerli tutti facendoli propri senza troppe remore. Un pregio? Un difetto? Nessuno dei due. Solo un modo, personale e opinabilissimo, di intendere la propria scrittura e di presentarla ai lettori. Un modo che le ha assicurato un successo davvero clamoroso. Solo un piccolo azzardo letterario  questo della Meyer, che poi così azzardo non è. Il romanzo si lascia leggere con la stessa rapidità della sua saga ben più famosa, perché scaturito dallo stesso stile e dalle stesse tematiche che l’hanno resa popolare.