Il guerriero Hanzo Hasashi vive in pace con la sua famiglia nel suo villaggio, fino a quando il malvagio ninja Bi-Han dotato del potere di manipolare il ghiaccio, stermina tutti. L’unica sopravvissuta è la figlia ancora in fasce salvata dal dio del tuono Raiden, capostipite della stirpe dei futuri guerrieri della Terra. Molti secoli dopo uno di essi è Cole Young, un ex campione di lotta caduto in disgrazia, che si esibisce per quattro spiccioli in combattimenti, fino a quando non viene attaccato proprio da Bi-Han che ora si fa chiamare Sub-Zero. L’essere vuole uccidere lui e tutti coloro che portano inciso sulla pelle il simbolo del drago, il segno del prescelto che sancisce il diritto di partecipare al super torneo chiamato Mortal Kombat, nel quale le forze della Terra e quelle dell'Oltremondo si contendono il destino del pianeta.  Cole insieme a Sonya Blade e al malvivente Kano parte alla ricerca del tempio di Raiden dove i guerrieri devono allenarsi in previsione dello scontro decisivo con i campioni del malvagio Shang Tsung. Per poter partecipare ad armi pari i pochi sopravvissuti devono scoprire il loro potere nascosto. 

La domanda nasce spontanea: c’era davvero bisogno nel 2021 di un nuovo Mortal Kombat? Il film del 1995 di Paul W. S. Anderson non brillava certo per qualità ma tutto sommato, negli anni è riuscito a diventare un piccolo cult, sia per aver dimostrato che era possibile fare la trasposizione di un videogioco sul grande schermo con un minimo di amore, sia perché aveva messo al centro della pellicola le arti marziali orientali, cosa non scontata all’epoca. Ricordiamo che pochi anni prima era uscito il terribile Super Mario Bros (1993) e al cinema non c’era ancora la consuetudine di prendere storie da serie Tv o da fumetti, né tanto meno da videogiochi di successo. Mortal Kombat di Anderson è senz’altro un prodotto cheap, eppure proprio in questo suo non avere pretese era riuscito a trasmettere il gusto di un videogioco che, dopo tutto era un semplice picchia duro senza praticamente nessuna trama.

Oggi la Warner Bros vuole rilanciare una saga precedentemente della New Line Cinema, all'epoca unità indipendente di Time Warner che aveva prodotto anche il sequel meno riuscito, Mortal Kombat – Distruzione totale. Nel 2021 quindi l’esordiente regista Simon McQuoid dirige questa nuova versione e, neanche a dirlo gli esiti sono tutt’altro che brillanti. Ovviamente nessuno si aspettava una sceneggiatura particolarmente originale, ma per lo meno una caratterizzazione dei personaggi che dia loro un minino di appeal. Dal protagonista Cole Young, personaggio che neppure esiste nei videogiochi, al super cattivo Shang Tsung, nessuno è vagamente interessante. È in primo luogo la sceneggiatura a non riuscire a costruire né dei personaggi carismatici, né una storia che nessuno pretende essere plausibile ma appassionante sì. Tutto si limita al solito prescelto riluttante che tira fuori il carattere quando la sua famiglia è in pericolo, e a cattivi vagamente psicopatici ma per i quali non si spende una riga di sceneggiatura per dargli una qualche motivazione o un minimo di background. Non aiuta la scelta del cast e, a parte l’esibizione di qualche muscolo manca completamente di carisma, compreso il protagonista Lewis Tan davvero poco convincente. Ma ciò che soprattutto è completamente assente è il torneo di cui si parla tanto e che probabilmente si vedrà in sequel già programmati.

Mortal Kombat del 2021 si porta a casa il minimo sindacale grazie ad una produzione di rispetto, con buoni effetti speciali e ottimi costumi. Anche da un punto di vista delle coreografie niente da ridire, d’altronde siamo pur sempre in un film di arti marziali, con parecchi scontri interessanti che scandiscono il tempo tra un noiosissimo dialogo e l’altro. Carina anche qualche scena splatter, con sangue e budella che escono da cadaveri digitali.

Forse il peccato peggiore del Mortal Kombat di Simon McQuoid è quello di prendersi troppo sul serio e di non avere il coraggio di imboccare la via nostalgica dei fan della saga, consapevoli di trovarsi di fronte a un prodotto trash, ma di voler per forza far salire sul carro tutti.