Siamo nella metà degli anni ’50 e nell’Upper West Side di New York le cose cambiano velocemente. Non solo nel quartiere gli immigrati portoricani ormai sono tanti quanto i bianchi, ma sono arrivate le ruspe che, senza guardare il colore della pelle, buttano giù le case dei residenti. Pare infatti che di lì a poco tutti verranno fatti sloggiare per creare appartamenti ad uso esclusivo dei ricchi ma, per il momento la banda dei Jets (bianchi) e quella degli Sharks (portoricani) continuano a darsi battaglia per la gestione del territorio. La scintilla scatta quando una sera Tony, che era stato nelle fila dei Jets, incontra Maria, la sorella minore di Bernardo il capo degli Sharks, e tra i due scatta un colpo il fulmine che gli fa immediatamente innamorare. Nonostante le avversità i due giovani sognano un futuro insieme e quando Maria scopre che le due bande hanno intenzione di scontrarsi, Tony nonostante faccia di tutto per uscire dal giro, cerca di impedire l’inevitabile tragedia.

Dopo l’iper digitale Ready Player One del 2018, Steven Spielberg cambia completamente rotta portando al cinema uno dei più classici musical, West Side Story con un lavoro che è prima di tutto una dichiarazione d’intenti. Partendo dall’attualizzazione di una storia scritta nel ’57, ma che anche nell’adattamento del ’61 del film diretto da Jerome Robbins e Robert Wise mostra il tempo che passa, è stata infatti rimaneggiata da Tony Kushner (già sceneggiatore di Munich e Lincoln di Spielberg). Il lavoro da una parte ne rende più tridimensionali i personaggi dando loro una backstory che ne motivi in maniera più plausibile le azioni, e dall’altro sul linguaggio vero e proprio. Linguaggio che va inteso sia nel parlato dei personaggi, con la scelta di usare dialoghi anche in spagnolo senza inserire i sottotitoli e soprattutto quello del cinema.

Spielberg infatti, come è lecito aspettarsi da lui, non filma solo un musical ma lo mette in scena, non limitandosi però a sostituirei un set teatrale con uno realistico. Anche in questo West Side Story la percezione di trovarsi di fronte a un palcoscenico, specie nelle scene di ballo e canto è costante, e in qualche modo inevitabile. L’aspetto cinematografico passa dalla capacità di rendere iper spettacolari al pari di effetti speciali digitali, una vera performance attoriale attraverso il montaggio e i movimenti della macchina da presa che non rimane mai ferma. È qui che sta la grandezza del film e forse l’interesse di Spielberg che riesce così a far vedere e mostrare allo spettatore un musical mettendolo dentro allo spettacolo stesso più di quanto possa mai fare il teatro.

Un altro aspetto interessante e cui si diceva sopra, è l’uso della doppia lingua senza sottotitoli per fortuna mantenuta anche nel doppiaggio italiano dove è stato tradotto solo l’inglese. Oltre a rendere benissimo che cosa sia l’incomunicabilità poiché lo spettatore stesso non capisce una delle due lingue, questo  West Side Story 2021 non è tanto la storia d’amore di due ragazzi quanto di una guerra tra poveri, dando una precisa visione politica dei tempi in cui viviamo secondo Spielberg. In questo scontro chi vince ancora una volta sono solo i potenti rappresentati dalla polizia che mettono in lotta le due bande per farle distruggere tra loro e avere campo libero.

L’unico dubbio è quello di capire se West Side Story, in sala dal 23 dicembre, sarà in grado di attrarre un pubblico abituato a vedere altro in questo periodo di feste.