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Se un uomo che sapete sano di mente vi dicesse che sua madre, morta di recente, ha appena cercato di arrampicarsi dalla finestra della sua camera da letto e di mangiarselo, avete solo due opzioni. Potete sentirgli l’alito, tastargli il polso e controllare le pupille per vedere se abbia ingerito qualche stronzata, oppure potete credergli. Ringil aveva già seguito la prima linea di condotta con Bashka, il maestro, ma invano, così mise giù la sua pinta con un sospiro artificioso e andò a prendere il suo spadone.

«Oh, non di nuovo» fu udito borbottare mentre si faceva largo per entrare nella sala comune.

Quasi un metro e mezzo di acciaio temprato Kiriath, lo spadone di Ringil stava appeso sul camino, in un fodero lavorato con una lega di metallo che gli adulti umani non avrebbero saputo definire, ma che qualsiasi bambino Kiriath dai cinque anni in su sarebbe stato in grado di riconoscere. La stessa spada aveva un nome in Kiriath, come ogni altra arma di loro fabbricazione, ma si trattava di un termine elaborato che perdeva molto nella traduzione. Benvenuta nella Dimora dei Corvi e altri Divoratori di Carogne al Seguito dei Guerrieri era il modo migliore in cui Archeth era riuscita a renderlo, così Ringil aveva deciso di chiamarla l’Amica dei Corvi e basta. Non che il nome gli piacesse particolarmente, ma aveva il suono che ci si aspetta quando si parla di una spada famosa, e il proprietario della locan-

da in cui alloggiava, un tipo attento ai quattrini e col fiuto per la possibilità di cavarne altri, aveva ribattezzato l’osteria allo stesso modo, apponendo un sigillo eterno sulla faccenda. Un artista locale aveva buttato giù un ritratto passibile di Ringil che brandiva l’Amica dei Corvi a Gola della Forca, e questo adesso era appeso fuori affinché tutti i passanti potessero vederlo. In cambio, Ringil godeva di vitto e alloggio e dell’opportunità di rifilare i racconti delle sue imprese ai visitatori nella sala comune per qualsiasi offerta gli finisse nel cappello.

Tutto questo aveva osservato ironicamente Ringil in una lettera ad Archeth, e in aggiunta chiudono un occhio su certe pratiche a letto che senza dubbio avrebbero causato al Tuo Affezionatissimo una morte lenta per impalamento a Trelayne o a Yhelteth. Sembra che la reputazione di eroe ad Acqua della Forca comprenda una qualche dispensa speciale, non alla portata del cittadino medio in periodi moralistici come questi. Inoltre, supponeva, non si va a caccia di froci quando la preda in questione ha fama di ridurre spadaccini provetti in carne per cani per un semplice guanto di sfida. In fin dei conti, aveva

scribacchiato Ringil, la fama ha una sua utilità.

Era stata una bella idea quella di piazzare la spada sul camino: una trovata del proprietario, che adesso cercava di convincere il suo celebre ospite a insegnare come si duella nel cortile dietro la stalla. Incrociate le spade con l’eroe di Gola della Forca al costo di tre Imperiali per mezz’ora. Ringil non sapeva se fosse già così disperatamente a corto di denaro. Aveva visto come l’insegnamento aveva ridotto Bashka.

A ogni modo, estrasse l’Amica dei Corvi dal fodero con un singolo rintocco stridulo, se la buttò casualmente sulle spalle e uscì in strada, ignorando gli sguardi degli spettatori cui un’ora prima aveva elargito i suoi racconti epici. Immaginava che lo avrebbero seguito per almeno una parte del tragitto verso la casa del maestro. Se i suoi sospetti su quanto stava accadendo erano fondati non gli sarebbe successo niente di male, ma probabilmente loro se la sarebbero data a gambe al primo segnale di guai. In realtà non li si poteva biasimare; erano contadini e mercanti, e non avevano

alcun legame con lui. Un terzo di costoro non li aveva neppure mai visti prima. Come recitava la prefazione al trattato di scherma che l’Accademia Militare di Trelayne aveva cortesemente declinato di pubblicare: Se non conoscete per nome quelli che sono alle vostre spalle, non meravigliatevi se costoro non vi seguiranno in battaglia. D’altro canto, non sorprendetevi neppure se lo faranno, giacché ci sono innumerevoli altri fattori da prendere in considerazione. Il comando è un bene scivoloso, difficile da forgiare e da comprendere. Era la verità pura e semplice, appresa nelle sanguinose prime linee di alcune delle battaglie più stronze che le Città Libere avessero visto a memoria d’uomo. Comunque fosse, il Tenente di Trelayne incaricato di valutare il trattato gli aveva educatamente risposto: Un po’ troppo vago perché l’Accademia possa considerarlo materiale utile per l’addestramento. È questa ambiguità, così come tutto il resto, che ci spinge a declinare la vostra proposta. Ringil aveva fissato quell’ultima frase sulla pergamena e sospettato che si trattasse di uno spirito affine.

In strada faceva freddo. Dalla cinta in su, lui indossava

solo un farsetto di pelle con ampie mezze maniche di tela, e un precoce gelo fuori stagione calava lungo la dorsale del paese dagli altipiani Majak. Le cime delle montagne sotto cui stava rannicchiata la città erano già coronate di neve, e si pensava che sarebbe stato impossibile attraversare Gola della Forca prima della vigilia di Padrow. Si era ricominciato a vociferare di un inverno Aldrain. Da settimane ormai circolavano storie su interi greggi nei pascoli sulle alture divorati dai lupi e altri predatori decisamente meno naturali, e su incontri e avvistamenti agghiaccianti nei valichi di montagna. Non tutte potevano essere derubricate a chiacchiere fantasiose. E Ringil sospettava che questa si sarebbe rivelata la causa del problema di quella sera. L’abitazione di Bashka, il maestro, stava in fondo a una delle traverse della cittadina e affacciava sul cimitero. Essendo questi la persona di gran lunga più istruita – eccezion fatta per l’eroe locale – nella minuscola cittadina di Acqua della Forca, a Bashka era stato automaticamente attribuito il ruolo di officiante del tempio, e insieme all’abitazione

aveva ricevuto in eredità i paramenti sacerdotali. Ma quando faceva freddo, i cimiteri costituivano un’ottima fonte di approvvigionamento di carne per i divoratori di carogne. Tu sarai un grande eroe, aveva predetto un indovino di Yhelteth leggendo la saliva di Ringil. Affronterai molte battaglie e avrai la meglio su molti nemici.

Neanche una parola sul diventare uno sterminatore municipale in una cittadina di confine non molto più grande dei bassifondi sull’estuario di Trelayne.

C’erano torce disposte su sostegni lungo le stradine principali e la zona prospiciente la riva del fiume di Acqua della Forca, ma il resto della città doveva accontentarsi dell’Arcoluce che, in una notte così nuvolosa, non era gran che. Come Ringil aveva previsto, la folla si diradò appena sbucarono su una strada non illuminata. Quando fu chiaro dove fosse diretto esattamente, la sua scorta si ridusse di oltre la metà. Raggiunse l’angolo della via di Bashka seguito ancora da un gruppo poco compatto di sei o otto persone, ma quando fu all’altezza della casa del maestro – la porta ancora spalancata, come l’aveva lasciata il proprietario quando era fuggito in camicia da notte – era solo. Rivolse la testa inclinata laddove i ficcanaso indugiavano indecisi in fondo alla strada. Un sorriso asciutto gli contrasse le labbra.

«Adesso vedete di restare alla larga» vociò.

Dalle tombe, qualcosa emise un urlo cupo e monotono. A Ringil venne la pelle d’oca. Tolse l’Amica dei Corvi dalle spalle e, impugnandola guardingo davanti a sé, svoltò l’angolo della casa.

Le file di tombe correvano allineate su per la collina, dove la cittadina scompariva lasciando affiorare i massi di granito. La maggior parte delle lapidi erano semplici lastre cavate dalla pietra della montagna stessa, il che rifletteva l’atteggiamento flemmatico della gente locale nei confronti della morte. Qua e là si poteva incappare in una tomba Yhelteth un po’ più decorata o nei tipici tumuli di pietra sotto cui i nordici seppellivano i morti, con appesi dei talismani sciamanici in ferro dipinti con i colori del clan degli antenati. Di solito Ringil evitava di recarsi troppo spesso lassù; ricordava molti dei nomi incisi sulle lapidi, poteva dare un volto a troppi di quei cadaveri forestieri. Il gruppo che, sotto il suo comando, era morto a Gola della Forca in quel torrido pomeriggio estivo di nove anni prima era un’accozzaglia di popoli, e pochi degli stranieri avevano famiglie che potevano permettersi il lusso di riportare a casa i figli per seppellirli. I cimiteri che ricoprivano quel tratto delle montagne erano disseminati delle loro testimonianze solitarie. Ringil avanzò nel cimitero con le ginocchia piegate, un passo alla volta. Le nuvole si aprirono in cielo e la lama Kiriath luccicò improvvisamente alla striscia dell’Arcoluce. Non aveva più sentito quell’urlo, ma adesso riusciva a distinguere rumori più lievi e furtivi. “Sembra qualcuno che stia scavando” pensò senza entusiasmo.

Tu sarai un grande eroe.

Sì, certo.

Traduzione di Maria Antonietta Struzziero, con la revisione e curatela di Edoardo Rialti