Dopo essere scampato per l’ennesima volta alla morte John Wick trova rifugio nel regno del Re della Bowery, in attesa di avere la sua vendetta. Ma le acque non si sono calmate intorno a lui, anzi la taglia sulla sua testa sale e la Gran Tavola per farlo finalmente fuori dà pieni poteri al Marchese de Gramont, che ingaggia Caine, assassino cieco e vecchia conoscenza di John, e per convincerlo minaccia di uccidergli la figlia. Anche Winston è nei guai per aver aiutato l’amico killer, vede l’amato Continental raso al suolo e ogni suo potere revocato. Ma Baba Yaga, così è soprannominato Wick, non può più rimanere nell’ombra. Partendo da Osaka, passando per Berlino fino ad arrivare a Parigi, il suo obiettivo non sono più i pesci piccoli anche se lascia una strada disseminata di pallottole e cadaveri, ma il sistema e, questa volta, è disposto davvero a tutto per tirarsi finalmente fuori dai giochi e riottenere la propria libertà.

Il primo John Wick ha dimostrato al cinema occidentale che, per godersi un film d’azione i combattimenti devono essere ben chiari. Niente tagli di montaggio, niente movimenti di macchina ma piani sequenza belli lunghi dove il gesto atletico risulti spettacolare come il balletto in un musical. L’attore che lavora in questo genere deve essere in grado di reggere fisicamente lo spettacolo al pari di un atleta, fatto che comporta una preparazione che magari non richiede il metodo Stanislavskij ma non per questo è da prendersi sotto gamba.

John Wick funziona grazie alle mirabolanti scene di combattimento e ciò fa sì che la trama, senza compromettere alcunché, si riduca ad un uomo che cerca vendetta perché gli hanno ucciso il cane, ultimo regalo della moglie morta. Il successo ha portato all’inevitabile realizzazione di sequel nei quali le strade da percorrere potevano essere due: continuare con le botte e basta o aggiungere una storia di sfondo. Lo sceneggiatore Derek Kolstad ha optato saggiamente per la seconda, costruendo intorno a John un mondo fantasy parallelo al nostro, dominato da un élite potentissima e spietata che vuole far fuori l’eroe ribelle, ma non perdendo mai di vista il motivo per cui la sala si riempie, ovvero le botte.

Se il secondo capitolo riusciva nell’impresa il terzo cominciava a mostrare un po’ di stanchezza facendo temere per il seguito della saga. Timori del tutto infondati perché questo John Wick 4 nelle sue quasi tre ore tiene incollati alla sedia, superando in potenza persino il primo capitolo. Il cast è perfetto, come sempre  Keanu Reeves magnificamente dolente e impassibile, mentre il villan è affidato questa volta a Bill Skarsgård il cui volto aristocratico dallo sguardo obliquo del Marchese de Gramont diventa subito piacevole da odiare. Una nota a parte la merita il magnifico Donnie Yen maestro indiscusso del genere wuxia e che qui finalmente anche in un film occidentale può far vedere a sessant’anni di cos’è davvero capace.

Per quanto riguarda la regia, Chad Stahelski che ha diretto anche gli altri film della saga, sa arrivati al quarto capitolo, di dover calcare la mano più del solito e lo fa dalla prima all’ultima scena, con dei virtuosismi capaci di sposarsi magnificamente alle coreografie. John Wick 4 diventa così un’esperienza sensoriale che chiede allo spettatore di stare al gioco. Colori acidi, città notturne, architetture grandiose, discoteche dove in mezzo a gente che balla ci si ammazza con un’accetta, cadute da scale che lascerebbero vivo solo un cartone animato della Warner Bros, è roba che piace oppure si odia, non ci sono mezze misure. È come salire su una giostra e lasciare che la gravità faccia il resto, o ci si diverte da matti o non si vede l’ora di scendere.