Il romanzo storico, insieme con il thriller, sembra essere il genere che va per la maggiore adesso in libreria. Sai spiegarti perché si cerca evasione nelle storie d'immaginazione pura come nella storia? Non c'è una contraddizione?

Il romanzo storico è sempre stato di grande fascino, perché (quando è fatto bene e con rigore) è un po’ come salire a bordo di una macchina del tempo, che ti trasporta in epoche lontane e affascinanti. E’ un modo per avere ambientazioni, personaggi e avvenimenti fuori dall’ordinario, e quindi tanto più interessanti quanto più oggi si cerca di prendere le distanze con la realtà in cui viviamo, fatta di crisi economica, problemi salariali e una generalizzata lotta per la supremazia sociale. Nel romanzo storico ti puoi rifugiare per sognare e fantasticare su un tempo che non c’è più, chiedendoti come ti saresti trovato nei panni dei personaggi descritti.

Non si tratta della tua prima esperienza di fiction a sfondo storico. Quanto pesa la documentazione e quanto pesa l'immaginazione nel preparare un romanzo storico?

Quello che faccio quando scrivo i miei romanzi storici, è ricostruire il mondo, gli oggetti, i personaggi e gli avvenimenti dell’epoca nella maniera più fedele possibile ai lasciti storici, sfruttando personaggi di fantasia per fare da collante fra le vicende narrate. Personaggi che comunque vengono sempre costruiti pensando alla loro plausibilità e coerenza all’interno del contesto storico descritto. Il mio lavoro di fantasia si limita alla realizzazione di personaggi capaci di fare da trait d’union fra le vicende descritte, che in ogni caso seguono il più fedelmente possibile ciò che è realmente accaduto. In “La Compagnia della Morte” sono molti gli spunti assolutamente reali: dalla decisione del Barbarossa di scendere in Italia per assoggettare i Comuni Collegati, alla fondazione di Alessandria come roccaforte da opporre all’esercito imperiale; dalle manovre della neonata Lega Lombarda per dotarsi di un esercito capace di opporsi al Sacro Romano Impero, al tentativo di Papa Alessandro III di riottenere il Soglio di Roma, dove era stato insediato l’Antipapa; dalle manovre degli eserciti lungo la via Francigena, fino alla conclusiva battaglia di Legnano del 1176. Le uniche “licenze narrative” che mi sono permesso sono quelle legate alla psicologia e ai rapporti personali dei personaggi principali.

Rossano da Brescia è un personaggio immaginario, ma ve ne sono altri reali, e quindi uno leggendario come Alberto da Giussano. Visto che gli hai dato corpo, come mai hai deciso di farne un comprimario, più che un protagonista vero e proprio?

Alberto da Giussano è un personaggio ammantato di leggenda, più che derivato dalla documentazione storica, e questo mi ha consentito di lavorare con una certa libertà narrativa, tenendolo sullo sfondo proprio per mantenere viva questa aurea epica attorno a una figura cardine del romanzo. Avevo poi bisogno di un personaggio che fosse il vero protagonista (Rossano), e che si muovesse lungo le coordinate storiche che avevo recuperato per essere sempre presente nei punti chiavi delle vicende descritte. Cosa che non sarebbe potuta accadere con Alberto da Giussano.

Il personaggio femminile principale, Angelica, decide a un certo punto di svolgere un ruolo di azione. Se non di avventura, che margini di libertà aveva una donna nel periodo storico che hai preso in considerazione?

Questa è stata forse una delle forzature principali del libro, per rendere la vicenda d’amore fra Rossano e Angelica più vicina alla sensibilità del lettore moderno, e poi per dare movimento a questa trama orizzontale fra due dei personaggi principali. Ho descritto Angelica come una donna energica e moderna, capace di fingersi un ragazzo pur di restare vicino al suo amato e poter essere con lui nel momento della battaglia, decisa a morire con Rossano, piuttosto che restare a macerarsi per la sua scomparsa. Per fortuna, questa rocambolesca storia d’amore ha un lieto fine…

Il personaggio di Venanzio da Urbino, secondo me, dimostra che non sempre l'autore si affeziona anche alle sue creature "negative". È solo una mia impressione?

Venanzio è il personaggio di fantasia che ho creato più vicino a come, a mio avviso, dovevano essere certe figure dell’epoca: vile, altezzoso, arrogante. Quello che oggi definiremmo un sociopatico, ma che nel mio romanzo ha la possibilità di stringere le redini del potere e di usarlo a sua discrezione. Un antagonista che provoca fastidio, e che mi era utile per mostrare le differenze caratteriali e “morali” degli altri protagonisti.

Sono rimasto particolarmente impressionato dalle descrizioni delle battaglie e dagli scenari bellici in generale, mi è venuto da pensare al "Gladiatore". Hai scritto La compagnia della morte con un possibile occhio a una riduzione cinematografica?

Per il momento diciamo solo che un produttore internazionale ha in mano il libro. Non so se ne

Il thriller ucronico di Giampietro Stocco
Il thriller ucronico di Giampietro Stocco

verrà fuori qualcosa, ma credo che al giorno d’oggi siano molti gli scrittori (soprattutto quelli come me che operano anche nel mondo delle sceneggiature televisive) che quando impostano un romanzo cercano anche di visualizzarlo “a priori”, per renderlo già pronto a una comoda riduzione cinematografica. Forse nel mio caso si tratta solo di una pratica che ormai mi viene istintiva.

Periodi corti ed essenziali, prosa asciutta, uso di vocaboli anche tecnici ma in un contesto in cui siano assolutamente comprensibili. Il tuo è uno stile solo in apparenza minimale. È ciò in cui credi o è anche una richiesta editoriale?

Questo è il mio modo di scrivere, adatto a un ampio pubblico ma capace (credo) di comunicare una certa volontà di lavorare sul linguaggio e sulla tecnica con cui mi esprimo. E’ stato proprio questo mio stile a convincere Mondadori a darmi fiducia, non il contrario. Per fortuna gli scrittori possono ancora esprimersi secondo un proprio stile personale.