Fin dall'alba dei tempi, o quantomeno dal 1979, ci si chiede se Alien sia un film dove i piatti della bilancia pesino più su quello horror o quello di fantascienza. Abbiamo un luogo claustrofobico dal quale non si può fuggire, una creatura letale che uccide uno a uno tutti i membri dell'equipaggio, ma è ambientato nello spazio, su un'astronave e con l'introduzione, seppur accennata, di un'affascinante cultura aliena, sia a livello tecnologico che biologico, quelli che in futuro avremmo battezzato Ingegneri.
Bisognava arrivare sulla Terra per fare in modo che la bilancia pesasse molto di più sull'aspetto fantascientifico. Non che tematiche sci-fi che sfruttano la narrazione ambientata nel futuro per parlare del presente non fossero state trattate nella saga: come una stoccata al capitalismo senza scrupoli della Weyland-Yutani introdotto in Aliens – Scontro finale.

Tutto inizia come sempre su un'astronave, l'equipaggio si sveglia dal criosonno, si riunisce per far colazione e attraverso le prime chiacchiere impariamo a conoscerli. Ci si sente quasi "a casa". La nave è della Weyland-Yutani e sta collezionando specie aliene in giro per la galassia. Poi succede qualche imprevisto e precipita sulla Terra. Ecco l'incipit.

Alien: Pianeta Terra però va oltre, ci porta a conoscere il trattamento riservato al potenziamento umano tra cyborg: persone con impianti cibernetici; e sintetici, col corpo identico a quello umano, ma sintetico, appunto, dotati di intelligenza artificiale. Entra in scena però un altro tipo di potenziamento: gli ibridi, esseri sintetici nei quali viene trasferita la coscienza umana. A creare queste tecnologie sono in gioco cinque corporazioni miliardarie che si contendono anche il dominio dei pianeti del sistema solare, ma in questi primi episodi ci concentriamo su Prodigy, che si occupa degli ibridi.
Cosa vuol dire essere umani, quindi? Che importanza diamo alla vita e alla morte quando superiamo questo limite? Un ibrido con la coscienza di un bambino nel corpo potenziato di un adulto può crescere? Sono queste le domande che fanno di Alien: Pianeta Terra, un prodotto che smuove la coscienza usando la fantascienza come leva. E qui arriva un bel parallelismo con una nota fiaba tra il nome della struttura di ricerca di Prodigy e altri dettagli.

La storia è ambientata due anni prima del primo capitolo, e chi approcciasse la saga da qui si troverebbe un po' in difficoltà nel capire cosa siano i facehugger e come nascano gli Xenomorfi, poiché attraverso scene molto ben costruite ed efficaci vengono dati solo alcuni accenni sul processo. Sicuramente in parte è per dare pochi indizi ai personaggi, così che lo spettatore si identifichi meglio nell'azione, dall'altra parte occorre avere già un'infarinatura della lore per apprezzare al meglio tutti i dettagli. Ma sono convinto che il pubblico di questa serie sia stato già svezzato da tempo sulla questione.

Se volessimo fare un confronto ludico, dove Alien era un survival horror, Aliens uno sparatutto, Alien: Pianeta Terra può tranquillamente essere considerato un gioco di ruolo con una trama potenzialmente profonda, temi importanti e una squadra di personaggi con peculiarità uniche che collaborano. Persino le creature recuperate dallo spazio sembrano uscite da un bestiario infernale.
C'è molto spazio per approfondire le vicende, poiché gli episodi sono mini-film da circa un'ora ciascuno e questo inizio sembra molto convincente perché porta l'universo di Alien su un livello mai esplorato così in profondità.
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