Aprì gli occhi. Udì parole.

O forse prima udì parole. Antiche e mute insieme. Poi aprì gli occhi, e il nero assoluto che l’aveva avvolto si dissolse. Sopra di sé, lui stesso.

Mikael sbatté le palpebre.

Palpebre.

No!

La chiesa. La sua chiesa, e sul soffitto l’affresco che celebrava il suo trionfo: l’arcangelo Michele e le sue schiere che scacciano i demoni corrotti. Il pavimento contro la nuca. Duro.

Freddo. Sensazioni, che erano sempre state solo parole. Parole di cui non aveva compreso il significato, prima.

Prima della carne.

«No.» La rabbia lo travolse, annebbiandogli la vista. Mikael serrò i denti, alzò le braccia, pesanti come tutti i peccati dell’uomo, e affondò le dita tra i capelli, tremando al contatto, al calore della pelle.

Doveva trovare chi punire, chi sconfiggere, chi interrogare per tornare indietro. Allo spirito. Alla purezza che gli era propria.

Allo stato originario che gli avevano sottratto con l’inganno, facendolo cadere, privandolo dell’esistenza eterea e perfetta che Dio gli aveva donato, per ridurlo simile alle creature di carne e fango.

Tornare indietro a quando non c’era il dolore terribile che si dipartiva ossa e nervi e gli occhi che esplodevano e il fuoco…

Rabbrividì.

E anche quello era orribile.

«Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago

Mikael sussultò a quella voce inaspettata. Si sollevò sui gomiti e sentì la testa girare, qualcosa di disgustoso nello stomaco e in gola. Nausea.

Era debole. Peggio: era fragile.

«Il drago combatteva insieme con i suoi angeli.»

Con uno sforzo immenso Mikael si mise seduto, reggendosi con le mani sul pavimento, e alzò lo sguardo per scoprire chi aveva parlato. Tra i banchi scuri della chiesa, la penombra.

«Ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo.»

La voce risuonava sotto le volte, avanti e indietro in infiniti echi eppure così chiara e netta da ferire. La luce era fioca, candele e raggi di luna colorati dalle vetrate, ma troppo forte lo stesso. E il freddo…

«Bentornato, fratello.»

Un breve, lento applauso. 

Mikael si voltò verso l’altare. Inspirò tra i denti. «Lucifero.» 

Ricordò tutto. La Caduta. La battaglia in cui lui e i suoi compagni avevano sterminato gli ibridi maledetti… per poi morire a loro volta. Quanto tempo era passato? Sangue e fuoco erano lontani, ma ancora percepibili nella pietra e nel legno, una vibrazione sorda e fastidiosa, che aumentava la sua nausea.

Ordinò a se stesso di alzarsi e il corpo – pesante, rigido – obbedì. Barcollò e in quell’istante scorse un sorriso guizzare sul volto di Lucifero.

Mikael strinse le labbra. Sollevò il mento: «Come osi comparire qui, traditore del Padre?». La sua voce era roca e incerta in confronto a quella suadente di lui.

«Da che pulpito.» Lucifero era seduto sull’altare, accanto al tabernacolo. Vestiva abiti umani, completo nero e cravatta rossa, e giocherellava con una ciocca dei propri capelli. Lo fissava con occhi scurissimi.

«Vattene!» sibilò Mikael.

Il Serpente scosse il capo. «Non credo tu possa darmi ordini.»

Mikael avanzò. Lo avrebbe eliminato, una volta per tutte. Poi avrebbe tentato di capire come… Senza volerlo si bloccò a metà di un passo, e quasi perse l’equilibrio. Si sforzò di proseguire, ma quell’indegno involucro di carne non… non agiva!

Lucifero rise. Mikael affondò le unghie nei palmi fino a sentire dolore. Un calore che non conosceva gli punse la pelle. Rabbia. Riverberava nelle viscere e nei nervi. Intensa, insostenibile.

Doveva ucciderlo.

«No, Mikael, non puoi.» Lucifero fece un gesto di diniego con il dito. Saltò in piedi e si avvicinò, infilando le mani nelle tasche. «Perché, vedi, io ti ho riportato in vita.»

Mikael non comprese. Non voleva comprendere.

«Eri finito» aggiunse Lucifero. «Morto. Nel ventre di lei.»

«No.»

«Suvvia. Sei grande ormai. Dovresti smettere di credere alle favole. Lo sai che c’è lei, dopo.»

Questa volta Mikael mosse le labbra, ma non trovò le parole. Qualcosa gli ferì la gola e lui deglutì.

Respirò a fondo e squadrò il traditore dall’alto in basso. «Se credi…»

«Sei mio.»

Mikael s’interruppe. Si sforzò di continuare ma il suo fu solo un rantolo. Non riusciva più a parlare.

«Io ho divorato una parte di te, un anno fa. E così ho acquisito il potere di richiamarti. Ho grandi progetti.» Lucifero ammiccò. «E tu obbedirai.»

«Non…» La voce gli si strozzò in gola. E oltre al calore della rabbia identificò la mancanza d’aria che gli comprimeva i polmoni, qualcosa che gli pungeva il petto e ostacolava la ragione.

Frustrazione.

E paura.

«Nessun no.» Lucifero gli cinse le spalle e lui non riuscì a sottrarsi, i muscoli tesi e tuttavia immobili. «Fratello

mio, vedrai quante cose t’insegnerò. E dovrai darti da fare, anche.»

«Cosa?…»

Mikael si sforzò invano di continuare. La volontà negata gli graffiò la gola.

«Tu farai delle cose per me» sussurrò Lucifero al suo orecchio, sfiorandolo con la lingua. Lui si ritrasse quanto poteva senza spostarsi sulle gambe, voltandosi a fissarlo.

«Non puoi rifiutare. Né il mio volere, né la catena vergognosa di questo corpo.»

Lo afferrò per i genitali. Mikael si sottrasse così rapido che, quando si scoprì in grado di muoversi, incespicò e urtò un banco, facendolo stridere sul pavimento. Le mani gli tremavano di un’emozione dolorosa.

La spada. Doveva affondarla nel corpo del maledetto. Aprirgli il ventre su fino alla gola e guardarlo agonizzare.

Aveva sempre creduto di conoscere la rabbia: la limpida fiamma che alimenta la giustizia. Ma ora che possedeva carne e sangue, le emozioni diventavano un fiume in piena, una tempesta di cui non aveva mai sospettato la violenza.

E il Serpente rideva. Rideva di lui.

«Mettiamola così, fratello. Comportati bene, non farmi arrabbiare e non avrai motivo di temermi più di quanto già fai» disse Lucifero.

«Io non ti temo» ringhiò Mikael, raddrizzando la schiena. Resistette all’impulso di toccarsi le guance. Bruciavano.

Lucifero lo guardò con un sorrisetto obliquo.

«Ah, no?»

Mikael tentò di replicare qualcosa.

Ma la bocca restò muta.