E’ oramai proverbiale, quando l’uscita di un nuovo film di Harry Potter si avvicina, essere invasi da giudizi della stampa affrettati e poco approfonditi: ‘è più dark, è più adulto, gli attori sono cresciuti troppo in fretta’. Tra i numerosi luoghi comuni, quest’anno, nel caso di Harry Potter e il Principe Mezzosangue, sugli schermi a partire da mercoledì 15 luglio 2009, qualcosa di vero c’è.

Il regista britannico David Yates ha dato vita a una pellicola basata su una fotografia (curata da Bruno Delbonnel) buia e plumbea e, nelle due ore e mezza di proiezione, le scene in cui predominano i colori caldi scarseggiano: l’incanto potteriano a cui Chris Columbus ci aveva abituati nelle prime due trasposizioni si è infranto, l’innocenza è perduta e, a differenza delle pellicole precedenti, non potrà essere recuperata.

Le musiche di Nicholas Hooper perdono il confronto con il tema sonoro originale di John Williams e non riescono a ritagliarsi un ruolo specifico all’interno del film, senza riuscire a svincolarsi dallo status di mero orpello formale.

Gli attori principali della vicenda, Daniel Radcliffe (Harry), Rupert Grint (Ron) e Emma Watson (Hermione), non appaiono troppo grandi rispetto ai ruoli che devono ricoprire, tuttavia le pecche recitative di Radcliffe sono immutate, tant’è che il giovane divo risulta pienamente convincente solo nella scena in cui subisce l’incantesimo Petrificus Totalus da parte di Draco Malfoy, il cui interprete Tom Felton si rivela invece all’altezza della crescita del suo ruolo e dell’approfondimento psicologico che gli viene riservato rispetto alle pellicole precedenti. Falliscono la prova Bonnie Wright, una Ginny Weasley che manca di espressività e lascia lo spettatore tutto sommato freddino, e Michael Gambon, il cui Albus Silente si riprende nelle fasi finali del film ma resta incolore per tutta la prima parte della pellicola. Promossi l’Horace Lumacorno di Jim Broadbent, divertente senza essere sopra le righe ed equilibrato senza risultare scialbo, la folle come non mai Bellatrix Lestrange di Helena Bonham-Carter e l’insopportabile Lavanda Brown (l’esordiente Jasse Cave); altri ruoli potteriani tradizionali come Rubeus Hagrid (Robbie Coltrane), Minerva McGranitt (Maggie Smith), Remus Lupin (Devid Thewlis), Neville Paciock (Matthew Lewis), Fred e George Weasley (i gemelli Oliver e James Phelps) e la stramba Luna Lovegood (Evanna Lynch) avrebbero meritato più spazio e non la riduzione al rango di semplici comparse.

Le scene inserite ex novo da Yates e che non figuravano nel romanzo della Rowling, come l’attacco da parte dei Dissennatori alla Tana e il crollo del Millennium Bridge, non disturbano la visione della pellicola, anzi gli attacchi magici al mondo babbano colgono spunti lasciati volutamente aperti dal testo letterario originario e il film ne guadagna in spettacolarità grazie anche agli effetti ben curati da John Richardson. La scena iniziale del film, in cui troviamo Harry intento a leggere di se stesso sulla Gazzetta del Profeta in un bar di Little Whinging dove viene ‘abbordato’ da una cameriera, poteva tuttavia decisamente essere eliminata e lasciare spazio ad altro, soprattutto in considerazione dell’esclusione dalla sceneggiatura della famiglia Dursley e dei Gaunt da cui Tom Riddle-Voldemort discende.

I viaggi nel passato di Harry grazie al pensatoio di Silente sono stati numericamente ridotti a due: gli unici scorci del passato del Signore Oscuro di cui Yates ci rende testimoni sono la scoperta di Voldemort, a 11 anni, di essere un mago (e qui il futuro Tu-Sai-Chi è interpretato da Hero Fiennes Tiffin), scena già anticipata dal trailer, e la richiesta da parte del Riddle sedicenne (Frank Dillane) di spiegazioni sugli Horcrux al professor Lumacorno. La storia della famiglia Gaunt e di come la discendente di Salazar Serpeverde Merope Gaunt abbia stregato con un incantesimo il babbano Tom Riddle è stata completamente ignorata, così come è venuto a mancare un approfondimento sul passato di Severus Piton (Alan Rickman) e la vicenda del Principe Mezzosangue, che speriamo di vedere nel settimo e nell’ottavo film; guardando la pellicola di Yates uno spettatore che non abbia preventivamente letto il romanzo di J.K. Rowling potrebbe a ragione chiedersi come mai il film sia stato intitolato proprio “il Principe Mezzosangue”. Non vi è traccia neppure di Hepzibah Smith, proprietaria della Coppa di Tassorosso che tornerà in Harry Potter e i Doni della Morte.

Harry Potter e il Principe Mezzosangue è un film pensato essenzialmente per un pubblico di appassionati. David Yates non si prende la briga di esplicitare alcuni passaggi logici della trama non intuibili da chi è privo del supporto della parola scritta, incorrendo in un doppio errore: scontentare chi non ha letto il romanzo, ghettizzato in un target di serie B, e deludere chi il romanzo l’ha letto e può individuare le incongruenze più o meno grosse della trasposizione. Il cast Yates lo ha ereditato dai passati registi potteriani, ma numerose sono le scelte discutibili a livello di montaggio: la volontà di alleggerire la trama in previsione della svolta ‘epica’ dei Doni della Morte ha prevalso, accentuando l’aspetto ludico di una pellicola parzialmente svuotata di significato, priva dell’approfondimento sul passato di Voldemort e del Principe Mezzosangue che aveva caratterizzato il libro.

Il risultato è una trasposizione che può piacere a un fan potteriano, in grado finalmente di vedere ciò che in precedenza poteva solo immaginare, ma non arriva a colpire un pubblico più ampio, svincolando la pellicola dalla saga letteraria e trasportandola su un piano cinematografico autonomo.