La morte di Enkidu

Il dio Shamash
Il dio Shamash

Gli dei sono offesi dai ripetuti sacrilegi dei due eroi (uccisione di Khubaba, abbattimento dei cedri sacri, offesa a Ishtar, uccisione del toro celeste) ed Enlil decreta che uno dei due muoia. Poiché Gilgamesh ha sangue divino nelle vene la pena ricade su Enkidu che cade in agonia. Gilgamesh è disperato perché non può fare nulla per il moribondo che, vaneggiando, maledice la porta costruita col cedro della foresta e la prostituta che lo aveva introdotto alla civiltà.

Il lamento di Enkidu prima della morte, e quello successivo di Gilgamesh sono fra le pagine liriche più alte, non solo del poema, ma di tutta l’antichità. Enkidu maledice e distrugge la porta che ha costruito con i cedri di Khubaba, maledice il cacciatore che gli ha portato la prostituta, maledice la stessa Shamkat: “Tu non farai della tua casa una casa di prosperità …tu non amerai i giovani pieni di vita… che la tua bella vulva sia sporca di escrementi… il beone possa insozzare i tuoi vestiti di festa con il suo vomito… colui che penetra nella tua vulva possa prendere la sifilide”.

Il dio Shamash però parla a Enkidu preparandolo al trapasso con rassegnazione e l’eroe perdona quelli che prima ha maledetto. Una impressionante anticipazione della rassegnazione cristiana. In un ultimo sogno Enkidu ha la visione della Casa della Polvere, il regno dei morti dove è destinato: lì giacciono le corone di coloro che avevano governato la terra da tempi immemorabili”, lì abitano “i Sommi Sacerdoti e i loro accoliti, abitano i Sacerdoti purificatori e gli indovini, abitano gli unti dei grandi dei”. Tutti gli uomini insomma vi sono destinati.

Il dolore di Gilgamesh è grandissimo e anche il suo lamento funebre attinge a vertici lirici notevoli. Dopo aver invocato il pianto di tutti gli esseri viventi e della terra stessa, si rivolge direttamente all’amico“ed ora qual è il sonno che si è impadronito di te? Tu sei diventato rigido, e non mi ascolti! … Ma questi non solleva la sua testa. Gli accosta la mano al cuore, ma questo non batte più. Allora ricopre la faccia del suo amico come quella di una sposa;

come un'aquila comincia a volteggiare attorno a lui; come una leonessa, i cui cuccioli sono stati presi in trappola, egli va avanti e indietro; si scompiglia e fa ondeggiare la chioma fluente; si strappa e getta via i gioielli come se fossero tabù”.

Poi organizza funerali grandiosi. onora la sepoltura dell’amico con doni preziosi e fa costruire una statua d’oro che lo raffigura..

Il tema del simulacro del defunto verrà ripreso dai greci in una tragedia perduta di Euripide, conosciuta solo per i riferimenti fatti da altri autori. Laodamia, moglie di Protesilao, morto in battaglia, ne fa riprodurre le fattezze in una statua a grandezza naturale che tiene sempre con sé. Il padre Acasto, sperando di guarire Laodamia dalla sua insania, incendia la statua, ma la donna vi si getta sopra e muore carbonizzata. Nel 1978 Francois Truffault riprenderà il tema nel film La chambre verte.