Quando ripenso al ricevimento dei Poeti Immortali non posso fare a meno di domandarmi se non avessi capito tutto fin dall’inizio, se non stessi recitando anch’io, come tutti gli altri, quasi che il mio anno di intimità con Martin non fosse stato che un preludio, un apprendistato non solo letterario. Lo stesso Martin, del resto, non avrebbe potuto proseguire la sua finzione così a lungo senza una buona dose di complicità da parte mia. È difficile capire altrimenti per quale motivo accettassi con assoluta fiducia le innumerevoli scuse che avrebbero dovuto giustificare le anomalie del suo comportamento, scuse alle quali lui stesso mostrava di non credere, presentandole con sorridente ironia, come un dovere mondano al quale gli era impossibile sottrarsi. Non gli chiesi mai da dove venisse il suo denaro, quali fossero le sue origini, quali i suoi legami con il mondo editoriale viennese, che pure dovevano esistere, visto che una sua lettera di presentazione bastò a far pubblicare l’opera prima di una sconosciuta; dove abitasse, per quale motivo gli fosse impossibile incontrarmi di giorno. Soprattutto non mi chiesi mai perché, in un anno, non lo avessi visto compiere neppure uno di quei gesti che, nella loro fragilità, sono un segno dell'appartenenza al genere umano, come mangiare, dormire, radersi, lavarsi, starnutire o tossire; non mi interrogai sul fatto che, pur non perdendo occasione di stabilire con me un’intimità fisica, accarezzandomi, baciandomi, stringendomi non appena ne aveva la possibilità, non avesse mai chiesto di dividere il mio letto; né sulla mia sensazione che questo suo astenersi, in apparenza nobile, non fosse dettato da scrupoli morali, bensì dalla pregustazione di un piacere più raro e raffinato, che avrebbe potuto essere assaporato in tempi e modi a me totalmente oscuri. Solo quando gli sottoponevo i miei scritti recuperava la sua freddezza, calandosi con imparzialità nel ruolo di mentore. Spesso sorprendevo il suo sguardo che indugiava su di me, sulla mia persona ma non sul mio volto, e nei suoi occhi non leggevo né amore né lussuria, ma un altro genere di bramosia, la cui natura mi era allora ignota. Di una cosa tuttavia ero certa: non era un filantropo. Non fu per altruismo che mi regalò un appartamento nel centro di Vienna. Non fu per altruismo che mi fornì di un guardaroba nuovo. Non fu per altruismo che scrisse al mio futuro editore. Nascita di un’illusione fu pubblicato il 19 settembre 1908. La serata del 20 era stata organizzata in mio onore. Non potevo mancare.

E così mi aggiravo per l’enorme salone tutto specchi e cristalli, nell’abito di seta azzurro cupo che Martin aveva voluto a ogni costo farmi indossare quella sera, perché, diceva, richiamava il colore dei miei occhi; chiedendomi distrattamente per quale motivo non fosse ancora stato servito il buffet, domandandomi perché mai tutti bevessero soltanto vino rosso, e soprattutto perché nessuno si fosse preoccupato di offrirmene un calice. Quand’ecco Martin sbucare all’improvviso alle mie spalle, porgendomi una coppa di champagne, mentre il suo sguardo indugiava su di me, sul mio volto e non sulla mia persona, e nei suoi occhi leggevo finalmente la passione che avevo sempre sperato di suscitare in lui. Non era un dilettante: era un artista. Credevo fosse felice per me; in realtà era venuto solo a riscuotere il conto. Ma forse sono ingiusta nei suoi riguardi, gli attribuisco una meschinità che non era nella sua natura, perché ciò che intendeva offrirmi quella sera era per lui un dono di cui pochi al mondo erano degni, un riconoscimento ben al di là di qualsiasi premio letterario, l’unico modo di tenermi con sé per sempre. Anche gli altri invitati sembravano condividere il suo entusiasmo, eseguendo profondi inchini ed elaborati baciamano al mio passaggio, pronunciando elogi di squisita e complicata cortesia sulla mia prosa, con la stessa, ironica leggerezza che da tempo avevo imparato ad associare alle bugie di Martin. Tuttavia, benché intuissi, senza osare confessarlo a me stessa, che il vero scopo della serata non era la presentazione del mio romanzo, sentivo che quelle lodi non erano simulate, il libro non era un puro pretesto, gli applausi che seguirono la lettura dell’incipit, un’insolita trovata romantica di Martin che voleva commemorare la sera del nostro primo incontro, non erano soltanto un atto di buona educazione. Forse furono quegli applausi più dello champagne, di cui Martin continuava a riempire la mia coppa, a darmi alla testa: la consapevolezza di essere ormai a un passo dalla realizzazione dei miei sogni, un traguardo al quale avevo quasi smesso di credere prima che Martin mi trovasse, dopo due anni di mozziconi di candela, spifferi gelidi, patate riscaldate e racconti indecenti sotto pseudonimo per riviste di quart’ordine. In ogni caso non ero abituata a bere, soprattutto a digiuno, dato che nessuno degli ospiti aveva manifestato il desiderio di cenare. Dopo gli applausi, i complimenti e i baciamano l’orchestra attaccò un valzer di Strauss e io e Martin ballammo in mezzo al salone, mentre tutti alzavano in nostro onore i calici pieni di quel vino rosso che nessuno mi aveva ancora offerto di assaggiare.