“Durante tutti gli anni in cui Michail Nadasdy l’aveva addestrato nell’uso della spada, Andrey non si era mai chiesto perché lo sottoponesse a una simile fatica. Non si era mai domandato che senso avesse trasformare in un provetto spadaccino il figlio di un contadino della Transilvania. Non aveva mai chiesto spiegazioni perché, in cuor suo, l’aveva sempre saputo. Una parte di lui era sempre stata consapevole di possedere quell’eredità che lo avrebbe reso un emarginato.”

Vampiri, vampiri, vampiri. È probabile che chi abbia letto la quarta di copertina abbia scambiato Nell’abisso per l’ennesima e frustrante storia di aristocratici succhiasangue che sovraffollano le librerie. Fortunatamente non è così. Chi avrà l’ardire di leggere questo romanzo si renderà conto che il romanticismo vampirico in stile Twilight non ha toccato minimamente lo scrittore tedesco.

XII secolo, Transilvania. Andrey Delany è tutto fuorché un giovane innamorato. Tornato al suo villaggio natio dopo un lungo e interminabile esilio, scopre che il figlio dal quale era stato costretto a separarsi non era al sicuro come pensava che fosse. È morto. Ucciso senza spiegazioni assieme al più degli abitanti di Borsã per ordine di un inquisitore romano e dei suoi seguaci. Il dolore piomba su di lui con una violenza quasi fisica; la rabbia si mescola alle lacrime.

Ma non è il solo a provare tali emozioni. Frederic, ragazzo scampato per miracolo all’inspiegabile massacro, ambisce alla vendetta; Andrey alla verità. Per ottenere entrambe bisogna inseguire le tracce degli assassini e recarsi a Constãntã, città costiera dove sono stati deportati i pochi sopravvissuti del sobborgo. È qui che, volente o nolente, Delany dovrà fare i conti con la sua vera natura.

Nell’abisso è un romanzo in cui il fantastico si mescola al divino e alla superstizione. L’ambientazione è ricreata con cura e richiama quelle valli un po’ selvagge, misteriose e affascinanti tanto care a Bram Stoker, padre di uno dei più conosciuti romanzi gotici del terrore.

Si tratta di un’opera dotata di una prosa ricca di immagini, sentimenti e sensazioni. Il lettore viene catapultato immediatamente in un mondo duro, dettato dalla legge del più forte e da una fede incontestabile alla quale ci si può opporre soltanto col filo tagliente di una spada. E se in Midgard lo stile di Wolfgang Hohlbein non mi aveva convinto per via dell’eccessiva pesantezza e austerità, qui al contrario riesce a tenere desta l’attenzione del lettore sino alle ultime righe, nonostante la ricchezza di sfumature e la complessità di alcune parti del testo.

Il punto di forza di questo primo tassello de Le Cronache degli Immortali è rappresentato senz’altro dall’ottima caratterizzazione del protagonista. Andrey Delany è un personaggio tormentato in grado di straziare i cuori delle lettrici senza poteri folgoranti né un’appariscenza da super modello: semplicemente con quel miscuglio di incertezze e di malinconia che fa di lui un guerriero costretto a fare i conti con il proprio ego ancora prima che con le spade e gli inganni di chi lo circonda.

Il fascino che traspare dal romanzo è dovuto anche all’edizione italiana pubblicata da Nord che ho avuto la fortuna di stringere tra le mani nonostante sia ormai difficile da reperire (è più probabile trovare in commercio l’edizione ristampata da TEA nel 2006 con titolo Il sangue del cavaliere). Tolta la sovracopertina, sembra di stringere tra le mani un antico manoscritto riemerso alla luce dopo tanto tempo. L’involucro nero e i caratteri gotici all’inizio di ogni capitolo, uniti agli arricchimenti grafici delle prime pagine, confezionano con maestria il prodotto sposandosi perfettamente con la validità del suo contenuto.

Nell’abisso è quindi un’opera dal ritmo narrativo incalzante e un lato introspettivo a dir poco sconvolgente, in cui - ed è interessante osservarlo - l’autore sfrutta l’evoluzione del celeberrimo personaggio di Dracula senza però mai fare uso della parola “vampiro”, quasi a dimostrazione della sua volontà di non voler catturare l’attenzione dei lettori con mediocrità ma con la bravura che è doveroso riconoscergli.