Giovanni De Feo ci propone un romanzo, L’isola dei liombruni  che fonde atmosfere gotiche mediterranee, mescolando elementi horror e mitologia. Ne è scaturito un racconto che ricorda Peter Pan e la perenne infanzia degli abitanti  della famosa “isola che non c’è”. Ma le avventure di Smiccio e di Zenzero, due quattordicenni, profondamente amici come possono esserlo due ragazzi, sono ben diverse da quelle di Peter Pan. Molto diverse.

Su di un’isola, mai nominata dall’autore, persa nel Mediterraneo, una notte un ragazzino poi chiamato il Primo sognatore, con l’aiuto del Dio sommerso chiama tutti i ragazzi addormentati a compiere la "Carnara". Così tutti si armano di coltelli, bastoni e altro e iniziano a massacrare tutti gli adulti presenti sull’isola. Adulti da quel momento chiamati Alti. Alcuni di questi scampano alla carnara e vivono nascosti e terrorizzati. Da quel momento sull’isola molte cose cambiano, ogni ragazzino si attribuisce un nome nuovo e molti esseri prendono a girare per le case e le cale, tra questi i liombruni, animali simili a un incrocio tra una donnola e un gatto, dai grandi occhi d’oro; sono sacri e intoccabili in quanto legati da un patto segreto a Primo. Le ragazze incinte diventano le Sibille, si immergono nel mare, perdono il bambino e “imbestiano” cominciando a nutrirsi solo di sabbia, diventando sempre più grasse e perdendo pian piano l’uso della vista. Le Sibille vedono tutto il passato e il futuro: quando fanno una profezia essa si avvera sempre. Il loro sguardo è insostenibile persino per gli Scalzi. Non obbediscono a nessuno, nemmeno a Primo.

In poco tempo cambiano o si creano nuove parole come “pelle” per indicare le ragazze, “certamio” per indicare la lotta tra due ragazzi, struscio e canto dai balconi quando una ragazza sceglie un ragazzo per passarci la notte.

Questo sogno collettivo però è destinato a incrinarsi sotto il peso delle passioni più adulte che pian piano vi si insinuano: l'amore proibito di Smiccio per la capera Cecella, la bruciante gelosia di Zenzero, l'avidità dei Baroni, mentre si fanno e disfano alleanze, si compiono scoperte sorprendenti e, inesorabile, si prepara una nuova, ultima, devastante Carnara.

L’autore

Giovanni De Feo è nato a Roma. Laureato in Storia del cinema, nel 2003 ha vinto il Premio Solinas per la miglior sceneggiatura originale e da un suo soggetto è stato tratto il film L’uomo fiammifero (www.uomofiammifero.it), finalista al David di Donatello 2010. Ha pubblicato con E/O e nel 2010, con Salani, il romanzo fantastico Il mangianomi. Ha insegnato all’Università di Reading e a Oxford, alla Berlitz School. Attualmente insegna Letteratura italiana alla Deledda International School di Genova.

Un brano 

«Samuele». Quel nome non sussulta nessun ricordo. A essergli familiare è invece la voce che l’ha pronunciato, gli occhi che lo fissano.

«Samuele, sono Dionigi», dice. Lo ha già visto. Non in un’altra vita, oggi, stamattina. Era lui, era davvero lui l’Alto zoppicante che hanno inseguito per la via dei glicini. In un lampo Zenzero ha dimenticato tutto.

La caccia, gli scalzi, le sibille, la profezia, Cecella, persino Smiccio. Lo guarda: è la prima volta dalla carnara che osserva un Alto vivo da vicino. Ha i capelli castano chiari, lunghi e sporchi, la barba di un mese, i jeans neri d’unto e quell’odore atroce, di morto in vita. Ma gli occhi verdi che lo fissano, le sopracciglia folte, il mento pronunciato, sono i suoi. È come guardarsi in uno specchio.

«Sono Dionigi, tuo fratello». A Zenzero sfugge un brivido, gli sale sulla faccia, dilaga nelle braccia, nelle gambe, scende dritto al cuore. Il ragazzo indietreggia.

«Samuele…». «Non chiamarmi così!». L’urlo echeggia per la strada. L’Alto lo sta fissando.

«E come ti devo chiamare?». «Zenzero».

«È così che ti chiamano ora?». «Nessuno mi chiama, mi sono chiamato da solo! Zenzero!».

Silenzio.

«Ti ricordi di me?». Zenzero vorrebbe scuotere il capo ma non ci riesce.

«E di Nicola ti ricordi?». Il ragazzo resta in silenzio.

«Nicola, tuo fratello piccolo».

La quarta di copertina

Ci sono delle leggi, sull'isola.

Dicono che tutto ciò che si sogna è reale; che le parole "mamma" e "papà" sono proibite; che gli Alti sono nemici e che nessuno può uccidere i liombruni. Sono leggi da rispettare con un segreto brivido di paura, come quello che scuote dal sonno Smiccio e Zenzero, all'alba del loro quattordicesimo compleanno. Un'amicizia fraterna li lega, insieme al presentimento che quella non sarà una giornata come le altre, da consumare tra corse sulla spiaggia e nuotate. Sono loro, quella mattina, a intravedere una figura furtiva tra i vicoli del paese. Un Alto. Inizia il gioco feroce dell'inseguimento, finché il fuggiasco non viene raggiunto. E un attimo dopo ucciso. Benvenuti in un mondo fantastico e oscuro in cui gli Alti non sono che gli adulti, sopravvissuti alla notte di violenza della Carnara; dove i Certami sono le sfide sanguinose che decidono le contese; dove i ragazzi possono diventare potenti Baroni e le ragazze belle e perfide Capere, signore dello Struscio serale e di amori brevi e intensi come fiammate.

Questa e l’isola dei liombruni, i cui sentieri si snodano insieme alle intricate profezie delle Sibille, e le vite si piegano al volere capriccioso degli Scalzi, misteriosi  ragazzi dai piedi di vetro, padroni indiscussi di ombre e vento, nuvole e sabbia...

Storia di amicizie e primi amori, e insieme racconto di battaglie, profezie e incantesimi, L'isola dei liombruni fonde atmosfere gotiche e mediterranee, mescolando elementi horror e mitologia, per creare un originalissimo "romanzo-mondo" da cui non vorrete più uscire.

Giovanni De Feo, L’isola dei liombruni (2011)

Fazi Editore, collana Lain 87, pagg. 382, euro 18,50

ISBN: 9788864112145