Se c'è un romanzo da andare a recuperare con velocità è I.N.R.I. (Behold the Man) di Michael Moorcock. Non fosse altro perché, essendo inserito nella collana Urania Collezione, della quale è il volume numero 102, del mese di luglio 2011, manca poco che sparisca dalle edicole.

Andiamo con ordine.

Non dovrei raccontarvi qui chi sia Michael Moorcock, non è scopo di una recensione, ma non spendere qualche riga per un autentico Maestro non è possibile. A beneficio di coloro che non avessero ancora letto nulla di questo grande scrittore inglese vi rimando a un articolo che pubblicammo nell'occasione della sua venuta in Italia, ospite di Lucca Comics & Games 2009 (/approfondimenti/11005/), e all'intervista che ci ha rilasciato in quella occasione (/interviste/11189/).

Obiettivamente non pensiamo che da soli siano sufficienti, non abbiamo tale pretesa, ma rappresentano un punto di partenza. Andrebbe sicuramente letta l'opera del Maestro, di cui però in Italia c'è veramente molto poco in questo momento di disponibile. Riuscire a spiegare in poche righe quanto la sua opera sia stata fondamentale per la letteratura, fantastica e non, sia come scrittore che come curatore della rivista New Worlds, è impossibile. Nel volume presente in edicola sono presenti sia un valido articolo introduttivo di Giuseppe Lippi che una cronologia a cura di Andrea Vaccaro. Se poi masticate l'inglese è imprescindibile la lettura del sito ufficiale dello scrittore www.multiverse.org/.

Nell'attesa che altro venga riproposto del maestro londinese, concentriamoci su questo romanzo, un testo che non si può non leggere.

Quella che leggerete è la versione lunga, edita nel 1969, della novelette che fu pubblicata su New Worlds nel 1966, e che vinse il premio Nebula nel 1967. In Italia sono arrivate entrambe le versioni; quella lunga, con il titolo attuale, edita da MEB Edizioni nel 1976 e quella breve, tradotta da Gloria Tartari e pubblicata dalla Perseo Libri, con il titolo Ecce Homo, nel marzo 1985 sulla rivista Nova SF*.

L'acronimo con il quale è stato tradotto il suo titolo originale Behold the Man, che è la traduzione in inglese della frase di Ponzio Pilato Ecce Homo (Vangelo secondo Giovanni 19, 5), ha una origine ben nota: significa Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, ossia Gesù Nazareno Re dei Giudei (Vangelo secondo Giovanni 19, 19) e, come riportato dai Vangeli, era il cartello apposto alla croce di Gesù Cristo, che indicava il motivo dell'esecuzione secondo l'uso romano.

A questo punto va da sé che il titolo è un autentico spoiler di quanto accadrà nel romanzo. Ma va ricordato che non sempre è importante il finale, bensì come ci si arriva. La tragedia annunciata è un meccanismo narrativo ben consolidato. Lo spettatore e il lettore seguono l'ineluttabile cammino del protagonista verso il suo destino conoscendone il punto di arrivo. Non è scopo della tragedia sorprendere il lettore con un finale imprevedibile, bensì quello di fare riflettere durante il compimento dell'arco narrativo. Non è importante il punto di arrivo, ma il viaggio compiuto e conoscere e comprendere perché un destino si compie.

Quella di Karl Glogauer è poi una forma estrema di viaggio, addirittura su di un prototipo di macchina del tempo, il cui obiettivo è identificato sin dall'incipit. Egli sbarca drammaticamente nel 28 d.C. in Palestina; un'epoca nella quale nessuno ancora contava gli anni avendo come riferimento la nascita di Gesù Cristo.

Il suo scopo è conoscere il Messia, seguirne la predicazione e la morte sulla croce, per avere una conferma delle sue tesi in materia religiosa.

Dall'arrivo nel passato all'epilogo della vicenda, Michael Moorcock ci conduce non solo in un affascinante ipotesi su come possa nascere un mito, ma anche dentro la psiche di un uomo, Karl, la cui vita è stata influenzata da gravi eventi e turbamenti, che cercando una soluzione ai suoi conflitti interni si troverà coinvolto in un destino di conflitti più grandi e devastanti che lo sovrasterà, inesorabile.

Karl Glogauer è a tutti gli effetti un proto Campione Eterno, anticipatore di molte tematiche che ricorreranno sia nelle produzione fantascientifica che, e in modo ancora più compiuto, nella fantasy.

Se quindi I.N.R.I. non ha ancora ben sviluppato molte tematiche, è tuttavia un romanzo che ha tanto da insegnarci e da non poter essere definito meno che un capolavoro.

Si può non condividere ciò che emerge dalla vicenda sulla figura di Cristo o ciò che i personaggi esprimono in merito alla religione in generale, ma un valore oggettivo del romanzo è la grande capacità dell'autore di raccontare una storia senza fronzoli, senza episodi e digressioni ridondanti, con la sola forza degli eventi, senza pesanti intromissioni del narratore, che c'è, ma non si vede.

Non mi interessa, lo dico chiaramente, entrare nel dibattito sulla presunta blasfemia del romanzo.

E' una storia che si appoggia su un'altra storia, su altri personaggi, dei quali estrapola delle caratteristiche e altre ne inventa.

Il Giovanni Battista e gli Esseni, così come Gesù, Giuseppe e Maria del romanzo non sono quelli di cui ci parlano i Vangeli.

Non è un tentativo di rivelarci verità da sostituire alle credenze bensì una operazione che, mediante l'uso di personaggi e vicende storiche, persegue altri obiettivi narrativi che coinvolgono essenzialmente il protagonista del romanzo e la percezione del suo ruolo in un disegno complessivo.

Moorcock non pretende di dirci chi era veramente il Cristo, ma solo di raccontarci la storia di Karl Glogauer, anche mediante l'uso di efficaci flash back, o dovrei dire fast forward, dato che il destino del protagonista si compie nel passato.

Se Moorcock poteva usare altri personaggi storici anziché personaggi considerati "sacri" dipende molto anche del contesto in cui un romanzo viene scritto e dalla storia personale dello scrittore. Anche un non credente può essere affascinato dalla valenza dei personaggi di Bibbia e Vangeli e dalla potenza narrativa delle storie che questi libri raccontano, tanto da appoggiarsi alla loro valenza archetipica.

Narrazione allo stato puro insomma, nella quale sono i personaggi e la vicenda a costruire il "messaggio", non l'esatto contrario. Non saggistica mascherata da romanzo, bensì una storia in grado di far scattare ragionamenti e riflessioni che vanno oltre la mera fruizione di un racconto, che rimane godibile e scorrevole, tanto che il libro si legge veramente tutto di un fiato. La relativamente ridotta foliazione è poi un'autentica lezione per chi è convinto che una buona storia necessiti per forza di 800 pagine per essere raccontata.

Da non perdere.